Sull'Impero bizantino pesano tuttora due pregiudizi: quello eurocentrico e quello cattolico romano, uniti alla laica diffidenza occidentale per qualsiasi divinizzazione del potere. Il primo tende a sopravvalutare il continentale, germanico e feudale Sacro Romano Impero, mentre sulla scia del secondo ancora si dipingono i Bizantini come decadenti e infidi (1). In più, gli studi accademici italiani si concentrano più sull'agiografia e sull'arte piuttosto che sulla politica. Eppure l'Impero Romano d'Oriente è durato mille anni di più della sua controparte occidentale, mentre il Sacro Romano Impero che voleva esserne l'erede non ha mai realmente funzionato. Benvenga quindi il libro di Luttwak, che completa La grande strategia dell'Impero Romano dal primo al terzo secolo (2). L'edizione italiana è uscita quasi in contemporanea all'originale in inglese e questo è meritorio.
Strategia e diplomazia son parole greche, ma si tratta di creazioni linguistiche recenti: i Bizantini esercitavano entrambe le arti senza dar loro questo nome e persino senza strutturare un Corpo Diplomatico o uno Stato Maggiore intesi come oggi. Ma il loro stesso autodefinirsi ”Romaioi”, Romani, quindi pragmatici, ci aiuta a capirli meglio. Da Roma i Bizantini avevano ereditato l'efficiente e capillare amministrazione fiscale e l'esercito professionale, sia pur ridotto negli organici. Questo significava soldati inquadrati e addestrati da ufficiali di carriera, regolarmente pagati ed equipaggiati e ben comandati sul campo. Ma a differenza delle legioni romane, le armate bizantine potevano contare su risorse limitate, per cui l'Impero romano d'Oriente operava in base al principio dell'economia delle forze. Questo significava evitare se possibile lo scontro campale per la difficoltà di rimpiazzare costosi professionisti, il cui addestramento poteva durare anche due anni. E' il classico limite degli eserciti professionali, che solo oggi possiamo capire di nuovo. Vitale quindi l'integrazione con la diplomazia, che operava stringendo alleanze, mettendo uno contro l'altro, spesso pagando invece di rischiare un costoso scontro campale. La posizione strategica di Bisanzio (oggi Istambul) è unica, ma l'instabilità geopolitica dell'arco geografico che va dai Balcani sino all'Africa passando per l'Asia non permetteva più la vecchia strategia militare romana del Limes integrato dall'esercito di manovra. In più, lo sviluppo nell'uso della cavalleria e dell'arco a doppia curvatura, normale per affrontare i nomadi delle steppe con cui ci si doveva inizialmente confrontare, spingeva per forza alla mobilità, alla manovra d'attrito piuttosto che alla strategia di annientamento. Distruggendo un nemico, si rischiava di lasciare un vuoto che presto un altro invasore avrebbe occupato. E di invasori Luttwak fa un elenco molto lungo, ognuno con diversa demografia, mobilità e intenzioni. Nei secoli alcuni popoli spariscono, molti si fondono con altri; alcuni saranno in seguito capaci di creare stati nazionali ancora esistenti. Ma per esser testimoni di analoghi spostamenti di popolazione bisognerà aspettare il crollo del Muro di Berlino, nel 1989. Dal canto loro i Bizantini avevano un'identità fortemente basata sulla cultura greca e romana, ma cementata anche dalla religione cristiana; una cultura quindi egemone, capace di assorbire in parte le spinte esterne, militari e demografiche. L'Impero nel corso dei secoli alterna fasi recessive a periodi di ripresa inaspettati. L'evangelizzazione degli Slavi e degli Armeni fu in questo senso un capolavoro, mentre invece l'Egitto monofisita preferì l'Islam tollerante alle repressioni ortodosse e alle tasse imperiali. Tasse che – si è sempre detto – alimentavano guerre. Ma le guerre l'Impero le avrebbe evitate volentieri, se solo avesse potuto. E invece si doveva sempre investire una buona quota dell'erario nel finanziamento di un esercito che – secondo le stime moderne- difficilmente poteva contare su un organico superiore ai 50.000 combattenti, contro i 300.000 delle legioni romane. A rinforzare gli organici c'erano sempre gli alleati di turno, ma le vittoriose campagne militari degli imperatori Niceforo Foca e di Basilio II non mettevano in linea più di 15.000 combattenti. E il noto sistema dei themi, le leggendarie province militari di frontiera difese da soldati contadini (struttura che si reincarnerà nelle krajne balcaniche), da solo non poteva reggere un'invasione anche stagionale, se non supportato da un esercito di manovra per la difesa in profondità. E se l'impero dei Persiani Sassanidi non aveva un reale interesse a invadere l'Europa, diverso era il caso della Jihad islamica, quell'efficace misto di esaltazione religiosa, surplus demografico ed economia predatoria, oggi riduttivamente interpretato come frizione e scambio tra culture diverse. Ma il primo colpo di maglio all'Impero non lo diede l'Islam, arabo o turco che fosse, ma proprio l'Occidente cristiano, nel 1204, dirottando gli avventurieri crociati addosso a Bisanzio per saccheggiarla. Ancora oggi la Chiesa Ortodossa si chiede perché i Crociati avessero sbagliato nemico.
Una parte originale del libro è l'analisi sistematica dei trattati militari bizantini. I greci antichi ne avevano scritti, i romani molto meno, ma solo con l'Impero Romano d'Oriente la dottrina diventa, come oggi, un corpus continuamente aggiornato d’insegnamenti e di esperienze di ufficiali di carriera e funzionari dello stato, per la formazione dei quadri militari permanenti. Noti assai tardi in Europa occidentale, questi manuali – una dozzina almeno, più i riassunti - sono ancora poco studiati: mancano spesso edizioni moderne e sono scritti in un greco impuro, pieno di termini tecnici talvolta oscuri. In più, sono stati spesso analizzati da studiosi digiuni di esperienza militare. Il contributo di Luttwak è dunque innovativo, e alcuni di questi manuali costituirebbero ancora oggi una buona lettura per gli ufficiali di carriera e per gli incursori, come il De velitatione bellica, trattato di guerriglia, sorprendente per la continua osservazione della realtà, per la mancanza di dogmatismo e l'accento sulla duttilità tattica.
Possiamo dunque imparare ancora qualcosa dall'Impero Romano d'Oriente. Luttwak scrive sempre tra le righe, quindi è intuitivo dedurne che il libro non è uscito per caso o nel momento sbagliato. Mentre ne La grande strategia dell'Impero Romano si parlava di una potenza al tempo della sua massima espansione strategica – facile metafora degli Stati Uniti - stavolta protagonista è una potenza ridimensionata, spesso sulla difensiva, ma capace ancora di grande vitalità grazie alla sua forte identità culturale e ideologica, alla sua economia razionale, all'uso intelligente di una forza militare ridotta, ma affiancata da un’esperta diplomazia, ben capace di distinguere amici e nemici e di inquadrare quelli che oggi siamo avvezzi a definire gli interessi della nazione. A questo punto il quadro è pessimistico: fossimo veramente Bizantini, a combattere in Afghanistan ci avremmo già mandato gli altri, magari arruolando le milizie tribali messe una contro l'altra. Avremmo sicuramente contenuto la miriade di minacce politiche e militari degli ultimi vent'anni spendendo molto meno e meglio. Magari si sarebbe mantenuto al potere un debole Saddam Hussein piuttosto che veder riempito dall'ascesa di Achmadinejad lo spazio svuotato dalla guerra in Irak. È meglio manovrare le leve della diplomazia piuttosto che impegnare costosi e preziosi soldati in più fronti.: la guerra ha un costo e i Bizantini lo sapevano. Ma se la diplomazia è stata un’arte mal praticata negli ultimi dieci anni, questo si deve innanzitutto a carenze culturali: per combattere un nemico devi prima conoscerlo, tanto più se è estraneo al tuo modo di pensare. Questo i Bizantini lo sapevano, e infatti descrivono con attenzione e curiosità i popoli più diversi. I loro manuali militari e i loro rapporti diplomatici costituiscono ancora adesso una lettura avvincente, attuale.
Due parole infine sull'edizione italiana. È ben tradotta, dettagli a parte, ma è priva dell'elenco delle opere citate, presente invece nell'originale. L'indice analitico non è ricco e potrebbe essere ampliato in entrambe le edizioni. In compenso, tutte le opere citate in nota tengono conto anche delle rispettive edizioni italiane.
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- In tal modo sono p.es. rappresentati nel popolare film L'Armata Brancaleone (1965).
- Edita in Italia dai tipi di Rizzoli, 1986 e successive ristampe.
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