ON EARTH AS IT IS IN HEAVEN
Michelle Rogers, irlandese purosangue, figlia di una terra dove magìa e crudo realismo s’incontrano lungo una tradizione, storia e leggenda, che fa di queste genti sognatrici e rivoluzionarie un’anima grande e solare (pur nelle nebbie umide del nord), Michelle Rogers dicevo, ci racconta la sua storia con la forza e l’intensità che travalica dal realismo più esplicito ad una sorta di espressionismo che fa della materia pittorica una specie di campo di battaglia dilaniato dalla rabbia e dalla pena di intere generazioni.
In “GOWNA Il” ritorna ai precordi infantili immergendosi nel cuore verde e lacustre di una Irlanda che è la terra e l’acqua che contiene i nostri sogni, per Michelle come per ognuno di noi,è il cuore della terra a cui vogliamo tornare. In “THE LAKE” la nebbia e l’acqua si fondono in una sorta di diafano specchio che riflette tra luci e trasparenze il gelo di una nordica solitudine, uno spazio dilatato e intessuto col filo d’una desolata nostalgia. Ma altrove la pittrice, cuore forte e generoso d’Irlanda, cerca in giro per il mondo il senso di una umanità, perseguitata, travagliata, disperata, che è sua e nostra: eredità amara che è di sempre e di tutti. Così in “LAMPEDUSA” la barca stracolma di clandestini è denuncia crudele di una ferita eterna che torna a lacerarsi qui e altrove: irlandesi e italiani d’antiche migrazioni o nordafricani di oggi. La maniera essenziale e forte di questa pittura fa molto pensare alle genti del nostro sud che dipinsero Ernesto Treccani o Carlo Levi.
“ENNISKILLEN” è un enorme sudario (ritornano le nebbie del nord) che imprigiona fantasmi e urla nel gelo dei bianchi e lungo un orizzonte (ghiacci? Città? Rocce?) di terre misteriose.
Infine in “ON EARTH AS IT IS IN HEAVEN”, che è poi il titolo dell’esposizione, una città allucinata di bianchi tetri e di finestre come vuote occhiaie è testimonianza apocalittica di una umanità sconfitta, estinta se non nelle labili tracce di una barca che attraversa,solitario Caronte, un fiume infernale di rovine e silenzi.
La Rogers usa una maniera forte e spiccia: sono òli ma non hanno nulla del brillante pigmento grasso, anzi la materia è arida e distesa per larghe spatolate su polittici di tele raccostate come un mosaico; il racconto ha respiro vasto che non indugia sul dettaglio ma corre alla totalità dell’insieme con l’urgenza del grande affresco.
Luigi M. Bruno |