DALLA TRAGEDIA ALL’ESODO
Foiba: dal latino fovea, fossa; dolina carsica terminante sul fondo con un inghiottitoio attraverso il quale defluiscono acque. Molte di queste cavità furono tombe silenziose per tanti italiani, militari e civili, per soldati tedeschi, per collaborazionisti slavi, ad opera dei partigiani comunisti jugoslavi del Maresciallo Tito. La vicenda comincia da lontano, alla fine della Grande Guerra con l’estensione del Regno d’Italia sino al confine delle Alpi e l’annessione di località e isole della Dalmazia; queste zone e tutto il litorale Istriano erano popolate da popolazioni di lingua e cultura italiana, risultato di secoli di dominazione Veneziana, mentre l’interno, le campagne e le montagne erano abitate da genti slave che ambivano unirsi alla neonata Jugoslavia. Per di più la politica dei governi italiani, liberali prima fascista poi, non operò per una graduale assimilazione con rispetto per lingua e costumi slavi ma avviò un’attività di forzata integrazione secondata anche dallo spirito combattivo dell’elemento etnico italiano che essendo stato per secoli una popolazione di confine aveva acquisito comportamenti di acceso nazionalismo talvolta intollerante. Con il Fascismo iniziò un’opera di snazionalizzazione delle minoranze slovena e croata consistente nell’italianizzazione dei cognomi, nel divieto dell’uso di lingue diverse dall’italiano negli uffici pubblici, nella repressione di organizzazioni sociali e culturali, nel divieto nelle chiese di omelie in slavo e infine in soprusi e fastidi di ogni genere anche se mai si arrivò a episodi di tale violenza. Nel 1941 con la sconfitta della Jugoslavia si ebbe la spartizione del territorio tra i vincitori e l’Italia ottenne la Slovenia meridionale, Sebenico, Spalato, Ragusa e Cattaro; quasi immediatamente si scatenò la reazione di bande di partigiani per lo più comunisti riforniti di armi dagli Alleati. Si ebbero due anni e mezzo di incredibili violenze con efferatezze dei partigiani su feriti e prigionieri e durissime rappresaglie da parte del Regio Esercito e della Milizia con fucilazioni ed incendi di villaggi. Fu una lotta senza cavalleria, senza regole, senza rispetto, senza pietà, tutta tesa alla distruzione fisica dell’avversario. Il succedersi di atrocità aumentò fra le comunità un odio che ebbe il suo sfogo dopo l’8 settembre del 1943 quando la struttura militare e amministrativa del Regno d’Italia si dissolse e reparti partigiani si scatenarono in una caccia agli Italiani che avevano un qualche posto nella struttura statale: finanzieri, carabinieri, poliziotti, soldati, sindaci, impiegati pubblici, insegnanti, membri della varie organizzazioni fasciste, furono catturati, sottoposti a processi sommari, uccisi in vario modo, talvolta dopo torture, e gettati nelle foibe che si aprivano nelle zone collinose dell’Istria. Questa prima fase di vendette secondo calcoli sommari costò la vita ad un migliaio di Italiani. Successivamente truppe tedesche e della RSI rioccuparono la zona e la tennero con grandi difficoltà sino alla fine dell’aprile del 1945 quando si scatenò la seconda e più dura fase di uccisioni. L’attacco stavolta non fu contro rappresentanti dello Stato Italiano ma contro l’etnia italiana allo scopo di seminare il terrore nell’intera comunità, una sorte di pulizia etnica nella quale gli slavi hanno dimostrato essere maestri. Gli Italiani furono considerati “nemici del popolo” che si opponevano alla costituzione di una società socialista; persone di ogni genere, età, classe sociale, sesso, furono arrestate ed uccise, talvolta in maniera barbara, e gettate nelle foibe quasi per cancellarne anche il ricordo: Molti altri, tra cui parecchi militari della RSI fatti prigionieri, furono inviati in duri campi di concentramento dove la mortalità fu elevatissima. Il numero totale dei morti è soggetto a valutazioni di vario genere ma viene grosso modo fissato intorno ai diecimila. Le ambizioni Jugoslave contemplavano l’annessione di Istria e Venezia Giulia, si diceva fino al Tagliamento, e il P.C.I. di Togliatti appoggiava tale richiesta nella speranza che fosse d’esempio per la costituzione di uno stato socialista italiano. L’inizio della “guerra fredda” bloccò tale processo e si venne ad un accordo che unì alla Jugoslavia la Dalmazia, l’Istria e gran parte della Venezia Giulia lasciando all’Italia Trieste con un ridotto retroterra e Gorizia divisa in due parti. La popolazione italiana rimasta al di la del confine si trovò di fronte ad un dilemma, restare o fuggire; in gran parte decise di recarsi in Italia. Tra il 1946 e il 1947 circa 350.000 italiani abbandonarono le loro case e i loro beni portando con se poco bagaglio a mano, fu un esodo doloroso che disseminò per tutto il territorio nazionale i profughi che in alcune località “rosse” furono male accolti in quanto ritenuti fascisti e responsabili dell’accaduto. Rimase un ridotto numero di fiduciosi e di simpatizzanti del nuovo sistema politico jugoslavo i cui discendenti costituiscono ora la minoranza italiana in Croazia e Slovenia. Esigenze politiche e di buon vicinato fecero scendere una cortina di silenzio ufficiale sulle foibe e sull’esodo e soltanto recentemente, con la legge 92/2004 è stato istituito il “Giorno del Ricordo” per rammentare, soprattutto alle nuove generazioni, il dramma di tanti italiani e onorare gli ormai pochi sopravvissuti con i capelli bianchi. Nel grande Salone del Sacrario delle Bandiere al Vittoriano a cura dell’Associazione Nazionale Dalmata e di E-NVENT, con il supporto del Ministero della Difesa e della Fondazione Roma, è stata presentata una mostra che è il seguito ideale di quella tenuta lo scorso anno nel Rifugio Antiaereo del Palazzo Uffici EUR dal soggetto”Foibe. Martiri dimenticati” questa invece dal titolo “dalla Tragedia all’Esodo” prosegue il discorso passando dalla strage alla fuga in massa. Due grandi aree tematiche attraverso un centinaio di foto illustrano la tragedia delle Foibe e dell’Esodo insieme a documenti, oggetti, giornali. In proiezione due documentari e uno spazio multimediale che permettono ai visitatori di approfondire la conoscenza dei tristi eventi. L’esposizione è integrata da dodici sculture, opera di Giuseppe Mannino, sul tema delle foibe e da tre grandi tele di Rocco Cerchiara e Anrdea Cardia dipinte per la mostra. La visita può essere sicuramente fonte di meditazioni sulla natura umana e a quale vertice di disumanità possa giungere in particolari circostanze.
Roberto Filippi |