“BLACKLIGHT”— LA NOSTRA TERRA
Lo scuro che predomina nelle foto di Carlo Fei è la “luce nera” che taglia e definisce i contorni aspri e vitali della collinosa Val di Luce toscana. Per contrasto, sui contorni abbuiati di una natura scelta e vissuta nel profondo di una decisa acquisizione emotiva saetta, quasi un messaggio celeste, il riverbero di raggi lampanti, diagonali di luce, nell’evocare improvvise folgorazioni. Sull’ostinato crepuscolo (alba? Tramonto?) queste soprannaturali ferite di luce ricapitolano forse memorie e ritorni di una terra come rivissuta in sogno, ritrovata non già viva di densa quotidianità ma ,appunto, come rievocata bella eppur desolata attraverso un percorso onirico che ne fa regione ancestrale di immemori miti.
Forse come noi potremmo rivedere e rievocare la nostra terra in cui fummo e di cui fummo figli, il perimetro dei nostri giochi e dei nostri sogni, nell’istante definitivo che ne fa intuizione e riassunto; nel momento terribile e dolcissimo in cui ci chiama e si riappropria per sempre di noi, madre (o anche leopardiana matrigna), divoratrice e nello stesso tempo tenero nutrimento, campo assoluto in cui si misura il gioco del nostro esistere. Quella terra fu nostra e noi le apparteniamo, essa riappare nel buio e lentamente si sostanzia di materia e d’aria: ci chiama con le luci e le ombre di un ritorno necessario, inevitabile.
Da dove giunge la folgore che la attraversa? E’ l’ispirazione apocalittica di un Dio dimenticato? E’ la scala abbagliante che la solca e la ascende? E’ forse, naturalmente, il grido, il richiamo che ci riconosce e ci indica la strada attraverso le incerte penombre, la strada che ci riporta a casa. Quella terra è la nostra, da sempre.
Luigi M. Bruno |