Mediterranea

VESSILLI DI MONDEZZA

Per una settimana il fiume di Roma si è gonfiato fino a inondarne le rive e a riempire le arcate dei suoi ponti, quasi a voler ricordare agli uomini affacciati agli argini, così abituati a vederlo scorrere lento e sporco, la loro impotenza di fronte a quelle acque che continuavano a crescere senza freno.
Pochi fiumi come il Tevere, anima e flagello di Roma allo stesso tempo per le esondazioni catastrofiche che ciclicamente l'hanno devastata sin dai tempi della sua fondazione, hanno influito sul carattere di una città e dei suoi cittadini, così cinici e fatalisti nei confronti degli eventi della vita, piccoli o grandi che siano. Per oltre duemila anni infatti i romani hanno dovuto fare i conti con allagamenti e alluvioni: punizioni di dei irati o annunciazioni di eventi importanti, queste hanno scandito la sua storia secolo per secolo.
Ma se il passato del "fiume sacro ai destini di Roma", come scritto su una lapide posta alla sua sorgente, fu glorioso e addirittura divino, i muraglioni di travertino costruiti per imbrigliarne la forza e liberare la città dalle sue intemperanze ne hanno oscurato il presente: ridotto a poco più di un rigagnolo, della sua antica potenza così come dei suoi disastrosi straripamenti non ne rimane che il ricordo.
La noncuranza dei romani verso il proprio fiume umiliato spiega questo distacco completo che la città moderna ha sancito con l'aspetto più significativo del proprio passato: quello della città fluviale, la matrice ancestrale a cui, in fondo, deve la sua stessa esistenza.
Ora che il Tevere è tornato a scorrere lento e sporco, nessuno guarda più verso quell'acqua che per pochi giorni è sembrata abbattere gli argini e salire fin sopra i ponti. Curiosità e sorpresa hanno fatto nuovamente posto a disinteresse e indifferenza, e la piena, protagonista di notizie di prima pagina e di aperture di telegiornali, è stata già dimenticata.

A ricordare quest'ultimo ammonimento dell'antica divinità dimenticata rimane una singolare testimonianza: buste, bottiglie, barattoli, vecchie scarpe, giocattoli, vestiti. Oggetti gettati chissà dove e chissà quando sono stati raccolti dal fiume nel suo scorrere e si trovano ora a decorare gli alberi delle due sponde, come opere di un'immensa esposizione, un inno all’arte usa-e-getta, vessilli di mondezza al vento, di cui la Natura stessa è creatrice, ispirata dall'uomo e dai suoi scarti.
La mostra è una discarica a cielo aperto visitabile ogni giorno della settimana fino a biodegradazione delle opere, il biglietto è gratuito.

David Chierchini


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