MANGINO BRIOCHES
Come è possibile che un ragazzo cresciuto nelle miserabili bidonville di una città indiana, vissuto sulla strada fin da bambino, senza aver ricevuto educazione né istruzione, stia rispondendo correttamente, una alla volta, a tutte le domande via via più difficili del quiz show più seguito del mondo, e si stia avvicinando sempre di più alla domanda finale che lo renderà milionario?
La polizia lo arresta nel mezzo della trasmissione, per indagare sulla possibilità che stia imbrogliando. Sottoposto ad un duro interrogatorio, il ragazzo comincia a raccontare come mai conosce la risposta ad ognuna delle domande che gli sono state fatte. Comincia a raccontare la storia della propria vita.
Un film sconvolgente, di una regia e una fotografia incredibilmente potenti. Le immagini delle grandi città indiane, dello sporco, della miseria, della tragedia, ma anche dell’incredibile, brulicante vitalità, dei colori, della luce, spaccano lo schermo.
Incredibilmente bravi gli attori bambini, ma ottima anche la recitazione degli altri.
Un film che si consiglia di non perdere, e tuttavia, un film che può lasciare profondamente insoddisfatti alla fine, addirittura che suscita rabbia.
È il discorso che sottende al film, a non quadrare. Il lieto fine holliwoodiano concesso magnanimamente al protagonista cozza malamente con la visione corale di tutti i milioni di bambini che, lo spettatore minimamente avveduto lo sa, alla fine del film sono ancora lì, tra il fango, le malattie e gli abusi.
Un film la cui morale è la più anti-sociale, la più anti-politica che si potesse immaginare, sia pure per un film americano: l’unica via di salvezza, dice questo film, è nel destino, nella fortuna. Non una parola ha da dire questo film su come e dove possano essere cercate delle soluzioni per alleviare l’infinita sofferenza di una parte così grande di mondo.
Un’occasione sprecata per un film per tanti versi così bello. Un film il cui messaggio, in fondo, si può riassumere nel solito, vecchio detto: “Non hanno pane, mangino brioches”.
Hanno la lebbra, vadano al milionario.
Nonostante le contraddizioni del film, contrasti che rispecchiano quelli di un Oriente in cerca di uno sviluppo selvaggio, è candidato a qualche Oscar, al posto del nostro meno internazionalista Gomorra, oltre ad aver già vinto 4 Golden Globe.
Marta Baiocchi |