GLI INTREPIDI SOMMERGIBILISTI
Nella notte tra il 13 e il 14 ottobre 1939, all’inizio della seconda G.M., un sommergibile tedesco, l’U-47, comandato dal tenente di vascello Prien, riuscì a penetrare nella munitissima base navale inglese di Scapa Flow, nelle isole Orcadi, a NE della Scozia. Questa base dell’Home Fleet rivestiva non solo un grande interesse strategico, ma anche simbolico: era lì che dopo la prima G.M. la flotta tedesca al completo si era consegnata al nemico e si era in seguito autoaffondata. Violarne le difese e distruggere le navi da battaglia ancorate era quindi un’operazione di grand’effetto propagandistico oltre che strategico. L’operazione venne pianificata con cura dal grand’ammiraglio Dönitz, responsabile dei 56 sommergibili con cui la Germania nazista entrò in guerra. Si trattava di trovare un varco nel sistema di isole, isolotti, reti, sbarramenti, secche e maree, batterie costiere e canali di accesso che proteggevano la base vera e propria. Opportunamente, l’editore ha stampato alle pagine 28 e 63 anche un paio di piantine della zona delle operazioni. In pratica, non appena in vista della costa delle isole Orcadi, l’U-47 mette il timone barra a sinistra e di notte, con la bassa marea e sfruttando le forti correnti, deve letteralmente scivolare nello stretto passaggio tra la costa di un’isola e un isolotto, passaggio mezzo ostruito da relitti, ma non impenetrabile per chi abbia fegato e competenza. L’equipaggio dell’U-47 li aveva. L’autore del libro, un francese di origine russa decisamente esperto di marina, descrive ora per ora l’azione, fornendoci sequenze di comandi e dettagli tecnici attendibili, ma senza i manierismi di Tom Clancy. Quello che è ancora più importante, vengono delineati in modo convincente caratteri e ruoli dei quaranta uomini che compongono l’equipaggio del battello. Il tenente di vascello Prien, poco più che trentenne, era un bravo ufficiale della marina mercantile poi entrato nel Partito e quindi passato alla Kriegsmarine. Duro ma cameratesco, sa anche prendere decisioni immediate, e nelle foto appare sia in alta uniforme che con giubbotto di pelle, sciarpa e barba di sette giorni. Il tenente Wessels invece è il direttore di macchina, responsabile dei motori diesel e di quelli elettrici. I suoi uomini riescono a riparare i guasti e a rifare i pezzi anche stando letteralmente in fondo al mare. Spahr, l’ufficiale di rotta, ha il suo daffare con girobussola, sestante e strumentazioni: non c’era ancora il GPS e il punto stimato deve qui tener conto delle forti correnti. Tutti vengono descritti al lavoro o di guardia, minuto per minuto. La vita dentro un U-Boot in missione diventa una narrazione mozzafiato.
Arrivati in vista di una corazzata – in realtà il grosso della flotta era già partito – si lanciano i primi siluri. La nave viene colpita a prua, ma in porto non scatta nessun allarme. Il sommergibile ha tutto il tempo di ricaricare i tubi e ritornare all’attacco. Stavolta tre siluri colpiscono punti più letali e la nave quasi esplode a poppa, prima di rovesciarsi su un fianco. I superstiti saranno 200 su 1000 circa e i soccorsi verranno da una nave vicina. I nostri se la squagliano nell’oscurità navigando in superficie, scantonando un caccia che non li identifica e forzando controcorrente il passaggio da cui sono entrati. Sentono le bombe di profondità, ma ormai sono lontani: l’allarme è scattato tardi. Ma che nave era? Al buio era impossibile capirlo, lo dirà il giorno dopo la BBC: è la Royal Oak, un dinosauro da 36.000 tonnellate, una delle corazzate della prima G.M. rimodernate negli anni ’30. Non si fa cenno di un’altra nave, la Repulse, forse attraccata vicino alla prima e danneggiata dalla prima salva di siluri. Il resto del viaggio di ritorno non è una crociera, braccati come sono dalle navi che sorvegliano le coste inglesi e il Mar del Nord, senza contare i campi minati temporanei o non segnati sulle mappe tedesche. Comunque l’U-Boot 47 ritorna felicemente alla base e i suoi uomini vengono decorati con la Croce di ferro. Prien morirà in guerra nel 1941, ma altri suoi uomini erano ben vivi quando l’autore del libro, trent’anni dopo, li ha intervistati. Anche Dönitz era vivo e si è complimentato con lui. Molti gli allegati al libro: schede tecniche, c.d. diari di chiesuola, relazioni ufficiali. Infine, c’è un tentativo di metter ordine nelle varie testimonianze. All’epoca si diffuse tra i marinai l’ipotesi – assurda – del sabotaggio. Altri si inventarono una mitologica storia di spie. Ma se è facile far pulizia di interpretazioni fantasiose, più difficile è capire quali navi c’erano, dove stavano e quali sono state colpite. Della Royal Oak nessuno discute: un relitto enorme e 800 morti non si possono nascondere. Ma l’altra nave colpita qual’era? La Repulse – un incrociatore da battaglia - non poteva esser scambiata con la Pegasus, un ferrovecchio di mercantile trasformato in portaidrovolanti. Ma quella notte la Repulseera fuori. Da qui l’ipotesi più suggestiva: ad esser stata colpita fu la Iron Duke, un altro mastodonte della prima G.M. ormai usato come nave scuola. La nave fu finita da un attacco aereo pochi giorni dopo e fu spinta dagli inglesi ad arenarsi. Era la nave ammiraglia ai tempi della battaglia dello Jutland, all’epoca orgoglio britannico e posto di comando dell’ammiraglio Jellicoe. L’ipotesi è verosimile, ma è stata sempre smentita dagli inglesi.
Marco Pasquali
|
Descrizione: |
I tedeschi affermano di aver affondato con un sommergibile la corazzata inglese Royal Oak e di aver danneggiato l’incrociatore Repulse a Scapa Flow. L’Ammiragliato britannico dichiara soltanto «che il Repulse era in mare…».
Nella notte fra il 13 e il 14 ottobre 1939, agli inizi della Seconda guerra mondiale, la principale base navale della Royal Navy di Scapa Flow, nelle isole Orcadi, a nord-est della Scozia, fu violata dal sommergibile tedesco U-47 al comando del tenente di vascello Prien. Superate tutte le difese senza essere scoperta, l’unità della Kriegsmarine silurò la corazzata Royal Oak, entrata in servizio nel 1916 e rimodernata negli anni Venti e Trenta. Nell’affondamento morirono oltre 800 uomini.
Come fu possibile effettuare un’incursione così audace, che mise fra l’altro in luce l’inadeguatezza dei sistemi di sorveglianza? L’autore, con un approfondito lavoro di ricerca negli archivi di Gran Bretagna e Germania e attraverso interviste con i sopravvissuti, ci fornisce una spiegazione esauriente dell’episodio, considerato uno dei più straordinari della storia navale del 1939-45.
Il libro è completato da varie appendici che permettono di avere un quadro completo di quanto avvenne.
|