FRATE PITTORE O PITTORE FRATE?
Questo è il dilemma che riguarda un famoso pittore del primo Rinascimento che fu anche Frate Domenicano e cioè Guido di Pietro, in religione Fra Giovanni da Fiesole, universalmente noto come Beato Angelico. In realtà sappiamo molto sulla sua vita artistica testimoniata dalle tante opere rimaste mentre poco conosciamo dell’attività religiosa anche se è citato come Priore del Convento di Fiesole nel 1449. Il Vasari, un secolo dopo, lo descrive come molto religioso e scrive che usava pregare prima di accingersi a dipingere. Il frate artista sarebbe nato a Vicchio nel Mugello alla fine del ‘300 e sempre secondo Vasari iniziò il suo apprendistato, come miniatore, nella bottega di Lorenzo Monaco; intorno al 1420 sarebbe entrato in convento ma si spostò spesso per impegni connessi con la sua attività artistica. La sua arte è nello stesso tempo personalissima e legata agli influssi di artisti del suo tempo, da Masaccio apprese il solido senso del volume e la solenne presenza corporea, da Lorenzo Monaco e dal Ghiberti il preziosismo del Tardo Gotico con i suoi fondi oro ed unì al tutto un lirismo tenue e soffuso con una finissima sensibilità cromatica che lo condusse a colori puri, luminosi, intensi, caratteristiche che gli meritarono il nome di Beato Angelico; la sua arte fu un ponte fra la fine del mondo medioevale e gli albori del Rinascimento. Peraltro nel 1982 fu canonicamente beatificato e proclamato patrono dei pittori. Divenuto ben presto famoso dipinse numerose tavole a soggetto religioso, poi si cimentò nell’affresco nelle celle, nei corridoi, nella sala capitolare del Convento di San Marco a Firenze, divenuto dal 1869 un grande museo delle sue opere, con estrema semplificazione di forme, luminosità e leggerezza del colore. Nel 1440 Fra Giovanni fu a Roma su invito di Papa Niccolò V affrescando la Cappella Nicolina, in Vaticano, con episodi della vita dei Santi Lorenzo e Stefano con tono più solenne e corposo sullo sfondo di monumentali sfondati architettonici. Altri suoi cicli di affreschi in Vaticano furono purtroppo distrutti in epoca successiva. Nel 1447 con aiuti decorò la volta della Cappella si San Brizio nel Duomo di Orvieto e nel 1450 con Benozzo Gozzoli ed altri intervenne sugli sportelli dell’Armadio degli Argenti nella chiesa della Santissima Annunziata a Firenze. Nel 1455 fu di nuovo a Roma dove morì e fu sepolto nella chiesa domenicana di Santa Maria Sopra Minerva in una tomba terragna tuttora esistente vicino all’ingresso secondario. La mostra che si è aperta presso i Musei Capitolini non potrà chiarire il dilemma sull’attività prevalente dell’Angelico ma in compenso permetterà di ammirare una cospicua porzione delle opere dell’artista. Certo forse il meglio è negli affreschi ma le oltre trenta tavole esposte ci danno la misura del tratto deciso, della cromia delicata, della forte valenza spirituale soprattutto nelle tante Madonne che hanno contribuito a dargli il soprannome con il quale è conosciuto. Molte delle opere esposte sono di dimensioni ridotte ma non nacquero così, quello che vediamo è il risultato dello smembramento e del ritaglio di trittici e tavole di ben maggiori ampiezza. La mostra, la prima monografica dopo quella del 1955 in Vaticano che all’epoca ebbe grande risonanza, espone oltre trenta tavole di mano dell’Angelico con qualche intervento dell’allievo Zanobi Strozzi, una mezza dozzina di disegni ed una decina di miniature, arte in cui l’allora Guido di Pietro iniziò a cimentarsi nella bottega di Lorenzo Monaco; sono esposti messali, graduali, salteri, antifonari preziosamente miniati. Tra le tavole esposte spiccano il Trittico di Cortona, il Volto di Cristo, resto di affresco staccato ora a Palazzo Venezia, il Trittico della Galleria Corsini a Roma, l’Armadio degli Argenti a Firenze, delle Annunciazioni e numerose Madonne dolcissime, luminose, “angeliche”.
Roberto Filippi
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