Mediterranea

LA RIVOLUZIONE VERDE

Sono passati alcuni anni dal giorno in cui erano calati su Roma, dall’immaginario paese della Padania, persone dai lineamenti ispirati all'incompiuto michelangiolesco, ma con delle cravatte e fazzoletti verdi, con l'effige di una graziosa piantina. Nel sud del Mediterraneo è stato, precedente alla gente del turpiloquio, il colonnello Gheddafi ad utilizzare il verde, colore dell’Islam, per il libretto dedicato al suo pensiero, un po’ come Mao e il libretto Rosso, sulla vita e il governo della Jamahiriyana, senza dimenticare l’ironia libica nell’effigiare anche La grande carta verde dei Diritti dell'Uomo.
Ora il verde è usato per regolare i conti all'interno del regime iraniano, utilizzando come scusa un sospetto fraudolento conteggio dei voti. Vessilli che garriscono al vento per Mir Hossein Moussavi, inneggiano ad un architetto, già primo ministro, che vuol far le scarpe all'impresentabile Mahmoudh Ahamdinejad, ma forse è solo per cambiare il tono di voce con il quale l'Iran parlerà al Mondo.
Anche se per una parte del Mondo Moussavi non sembra poi tanto diverso da Ahamdinejad, un’ipotesi avanzata anche nel primo timido commento avanzato anche dal presidente statunitense Obama, un contrasto di “palazzo” che cerca di trovare una soluzione lontano da Teheran, nella città santa di Qom, coinvolgendo i religiosi sciiti nell’ipotesi di sostituire l'Ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema dell'Iran, nel tentativo di salvare la teocrazia iraniana.
Uno scontro interno al potere del quale sono diventate vittime le donne e i giovani, come Neda, uccisi e incarcerati.
Un’onda verde che non si limita a manifestare in piazza, ma diverse forme per dissentire in Internet e sui tetti delle case, utilizzando il web per testimoniare come un certo islamismo religioso apprezza l’opera di quell’umanità violenta, per conservare il potere contro chi, al calare della sera, invoca Allah.
Ben diverso è il verde nel quale si agita una sempre più consistente fascia di italiani che scoprono l'inutilità del nucleare, tanto i soldi non ci sono, e si meravigliano come le energie alternative o anche rinnovabili, stiano creando dei solidi varchi nella coscienza di alcuni politici.
Un diffuso fotovoltaico sui tetti dei moderni edifici è un’alternativa ai costosi e ingombrati complessi nucleari, una delle soluzioni immediatamente attuabili, con spese contenute, individualmente e dalle amministrazioni locali.
Mentre il nord era all’avanguardia, con una sperimentazione minimale e a macchia di leopardo, per il solare, ora è il meridione ha tracciare il percorso, come dimostrano le iniziative pugliesi e sarde di parchi eolici e fotovoltaici.
Quanto potrebbe essere economicamente conveniente l’utilizzo delle coperture degli edifici industriali per l’installazione di pannelli. Una pratica che renderebbe l’attività industriale autosufficiente e diversificata, aprendo alla commercializzazione delle eccedenze energetiche.
Un verde che è il colore dell’ambientalismo e del presidente statunitense Obama con le sue indicazioni nel campo dei trasporti e con l’impegno di sostituire l’obsoleta illuminazione a incandescenza con quella a basso consumo, oltre alla vezzosa scelta della moglie Michelle nell’utilizzare una piccola area del parco della residenza presidenziale per la coltura biologica. Un hobby che ha varcato l’oceano e ha messo radici anche a Buckingham Palace. Le ultime esitazioni della regina sono forse state superate dal disinvolto esempio della First Lady o forse dalla ventennale attività ambientalista del principe Carlo, con la sua tenuta di centinaia di ettari nel Galles, a convertire la madre, ma è un fatto che i piccoli orti da necessità di sopravvivenza sono diventati di tendenza.
Non orti di guerra o il recupero di terreni in aree urbane come nella depressa Detroit o come in altre città che soffreno della crisi industriale o finanziaria, ma una moda di unire l’utile al dilettevole. Una moda che coniuga il bello della natura alla quotidianità della vita.
Giardini e orti sui tetti londinesi potrebbero rendere più gradevole anche l’estetica di alcuni edifici, come il 30 St Mary Axe di Norman Foster soprannominato “Il Cetriolino”, con la sua verticalità appuntita, ma estremamente goffo nella forma, pur venendo premiato nel 2004 per il suo design. L’edificio è interessante non solo per la sua particolare forma a supposta, ma anche per l’attenzione rivolta al risparmio energetico, rendendolo un ottimo candidato ad ospitare sulla sua sommità una corona di verde che attenuerebbe la voracità dell’estremità e amplificherebbe con armonia i cromatismi delle vetrate, arricchendo di verde le iridescenze blu. Arbusti che calano dall’alto per contrapposi all’ascensione delle linee nell’avvolgere la grande rotondità.
Una grossa, enorme supposta arborea che può cambiare l’habitat urbano, mentre i giardini pensili potrebbero influenzare il modello di vita, utile a percepire la crisi che sta coinvolgendo il Mondo ricco, rendendo una chimera il miglioramento di quella della parte povera.
Un dilagare di flora che raggiunge i Docklands, l’antica area portuale recuperata a zona residenziale, arboree specie che pendono dal cavalcavia della linea ferroviaria diretta a Greenwich, passando tra e sotto gli edifici dalle eclettiche architetture, scivolano sulle scalinate lambite dall’immobile acqua dei canali. Tappeti di verde che si distendono su un quartiere dall’architettura eclettica, un neo rinascimentale che si incrocia con un neo barocco per omaggiare un razionalismo aulico, mentre echeggia il silenzio delle composizioni di Vaughan Williams, quando la zona non è il palcoscenico per il summit dei capi di stato e non il luogo per celebrare la primaverile lentezza londinese del Slow Down Festival.
Un luogo dove potrebbe regnare Silvano, con aiole e alberi, se non fosse imperante il lastricato, e il francese Patrick Blanc troverebbe entusiasmante confrontarsi per realizzare i suoi giardini verticali, una moda o forse una coscienza ambientalista per un nuova architettura sostenibile, come al Caixa Forum di Madrid, diffondono in diversi luoghi della Terra. Sembrano lontani gli anni dei gerani vicino al basilico e alla salvia, ora giardini e orti si sviluppano in verticale, coprendo facciate di palazzi o semplicemente adattarsi allo spazio di un balcone.
Se per molti appaiono impegnativi e poderosi i muri di verde Patrick Blanc, con pannelli di Pvc e strati di feltro, un più vasto consenso potrebbe trovare le realizzazioni larghe 1 metro e alte 2 per realizzare un orto o un giardino, con terra fertile e fibra di cocco, confezionate dalla Cascina Bollate, una cooperativa di giardinieri e detenuti (www.cascinabollate.org). Si può anche, se si è intraprendenti, seguire i consigli del libro “Verde. Naturalizzare in verticale” (Valeria Tatano, Maggioli Editore), per modificare la morfologia degli spazi esterni delle nostre abitazioni e dare un piccolo contributo per ridurre il CO2 e frenare i cambiamenti climatici, ma anche una protezione climatica dell’edificio.
Utilizzare la vegetazione per dare vita a innovative tipologie di verticalità urbane, muri come elemento schermante per il controllo micro-climatico degli edifici rurali e metropolitani, oltre al poter nascondere la banalità di certe architetture.
L’architettura ecosostenibile è stata scelta anche per la Città dell'Altra Economia a Roma (ex Mattatoio), con l’obbiettivo di essere autosufficiente nell’ambito energetico, ma è anche l’impostazione nel riconvertire lo stabilimento di Termini Imerese della Fiat, nella fabbrica dell’immagini, ad un impatto ambientale zero, nella solare Sicilia. Una ristrutturazione affidata a Massimiliano Fuksas per trasformare, su incarico della Einstein Multimedia, il complesso in Med Studios. Degli studi televisivi che potranno competere con quelli spagnoli di Alicante, per produzioni seriali, costruiti con materiali riciclati ed ecocompatibili, alimentata dall’energia solare e da generatori a biocarburante Curcas. Una scelta, quella dell’utilizzo dell’energia rinnovabile, che potrebbe essere di maggior incisività ecologica se per alimentare l’industria dello spettacolo fosse solo il sole e non senza il Curcas coltivato da qualche parte dell’Africa o dell’Asia, anche se per ora limitata alle zone arride.
Un progetto avviato nel 2007 che, nel convertire da produzione meccanica in quella dell’apparenza, coinvolgerà il destino lavorativo di molte famiglie.
Contribuire alla riduzione del CO2, migliorando il nostro personale rapporto con l’ambiente, è un segno di progresso, come è il progresso quello che rincorrono quelli del Bric - acronimo che unisce Brasile, Russia, India e Cina - tenendo sotto controllo l'eccessivo ridimensionamento dell'emissioni di anidride carbonica, con la loro vivacità di economie emergenti. Economie emergenti che arriveranno a porsi la questione ambientale solo fra qualche anno, con la fiducia che si possa ancora arginare lo scioglimento dei ghiacciai, confidando nel verde della speranza per poter evitare l’ampliamento della distesa degli oceani, con la consequenziale allagamento di ampi tratti di costa e la scomparsa di isole.
Forse il futuro energetico risiede nel deserto, dopo il sotto è la volta del sopra, rendendolo appetibile quanto i terreni fertili d’Africa. Trasformare l’arido Sahara in un immenso complesso di luccicanti pannelli per la produzione energetica da inviare, attraverso elettrodotti sottomarini, in Europa, è un progetto da 400miliardi di euro, al quale la Cina potrebbe ispirarsi per utilizzare le sue superfici desertiche, invece di depredare tibetani e uiguri delle loro risorse, evitando di creare soffocanti nubi prodotte dal combustibile fossile.

Gianleonardo Latini


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