Mediterranea

LA CULTURA DELL’ITALIANO

Pesare e misurare con attenzione ogni vocabolo che viene utilizzato, per rendere chiaro il proprio pensiero da esprimere, dovrebbe essere un consolidato esercizio per rendere omaggio all’italiano.
Nonostante tale impegno sempre più spesso ci si serve, a sproposito, degli inglesismi come l’ormai oltre modo abusata “location”, sicuramente piena di fascino in un contesto cinematografico, è inopportuna in un depliant per promuovere un “seminario tecnico” organizzato dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” per indicare il luogo dell’iniziativa.
Curioso è anche servizi del termine “concept" per identificare il tema, appunto il concetto, di un’iniziativa o di un’istituzione, in questo caso appare su di una newsletter di una Fondazione impegnata nell’arte contemporanea.
Sono tanti gli esempi che si possono fare e molti vocaboli sono entrati nell’uso comune (vedi depliant o call-center), ma è eccessivo usare il know-how per indicare la conoscenza o meeting per riunione. Senza contare i messaggi al cellulare e il gergo della rete, ma questo è un altro ambito riflessivo. Altre volte l’inglesismo viene italianizzato nel suo significato, come nel caso di magazine che non vuol significare solo rivista, ma ampliato a magazzino delle informazioni.
È consigliabile, ai politici e ai giornalisti, utilizzare correttamente il vocabolario senza filtri, coscienti o per inconsapevole ignoranza, per una deriva intollerante verso l’altro. Evitare di scegliere d’identificare una vittima di un’aggressione come un “diverso”, piùttosto che come un “differente”.
Come si può pretendere dall’Unione Europea un giusto rispetto per l’italiano come lingua del Parlamento e delle Commissioni, se sono per primi gli italiani ad averne poco rispetto, anche se il 68% ritiene di avere un buon livello di conoscenza della propria lingua e nonostante il fatto che vengono indicati i giornalisti come personaggi televisivi che meglio si esprimono in italiano. Questi e altri dati sono tratti da una serie d’indagini commissionate dalla “Dante” (www.ladante.it), e realizzate dagli Istituti di Ricerca Piepoli, GfK Eurisko ed IPSOS.
Un’Italia ricca di cultura che rimane al palo, un cavallo di razza che lo si tiene legato, non le si permette di esprimersi, lasciandola a rimembrare le antiche glorie. I fasti di altri secoli non soddisfano se non vengono valorizzati. Cosa si può fare per la cultura del contemporaneo se si continuano a tagliare i fondi e i governi che si susseguono si limitano a credere che vendere o affittare il nostro patrimonio è l’unico sistema per poter reggere i costi della cultura?
Estrarre denaro dalla cultura non è possibile, si può investire perché è ciò che si definisce un ambito improduttivo nel contesto finanziario e questo gli inglesi lo hanno capito, offrendo l’entrata gratuita ai musei.
Usare nei tempi e nei luoghi appropriati esclamazioni come – me ne frego – o – non me ne frega niente – misura il livello educativo e di schiettezza delle persone, è pari alll’idiozia di chi inneggia a ciò che ignora.
Sorvolando sulla mondezza televisiva, provvisoriamente occultabile sotto i tappeti delle varie commissioni parlamentari, grazie anche all’inquinamento narcisistico dilagante nella mente di gran parte dei politici, bisognerebbe evitare di spacciare dei giornalisti per eminenti storici, dal verbo adatto ad ogni occasione.
La cultura si divulga per via televisiva e potrebbe sembrare estremamente severo pretendere da un programma che ambisce ad appartenere all’intrattenimento culturale che il conduttore non rida a dei soliloqui pseudo surreali con un risucchio suino.
Non è un bell’esempio di comportamento nel conversare con intellettuali, anche internazionali, per chi vuol informare con serenità, evitando di cadere nel trabocchetto dell’ascolto facile.
Rispettiamo la nostra cultura, evitando anche l’indiscriminato taglio dei fondi, svecchiandola – si – dai clientelismi e dall’incompetenza delle mancate occasioni di promozione del contemporaneo, oltre che delle gloriose radici, senza eliminare il Padiglione Italia ai Giardini della Biennale di Venezia, ma sovvenzionando le eccellenze, oltre a stipulare protocolli d’intesa tra lo Stato (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) e le società private (TERNA Rete Elettrica Nazionale) finalizzati alla promozione e alla valorizzazione dell’arte contemporanea italiana, solo allora avremo il rispetto degli altri e potremmo pretendere il giusto riconoscimento dell’italiano nell’ambito europeo.
Il disamore che l’italiano ha di se stesso è anche l’argomento del libro di Paolo Peluffo “La riscoperta della Patria” (Rizzoli) e quello di Antonio Caprarica “Gli italiani la sanno lunga... o no!?” (Sperling & Kupfer), entrambi di recente pubblicazione, offrono uno spunto di riflessione della magnanimità con la quale l’Italia e gli italiani sono visti all’estero e quanto i media italiani sottolineano l’indifferenza ampiamente presente nel Dna italico, pronto a scomparire in presenza di una partita calcistica, confondendo il patriottico con il nazionalistico

 


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