QUELL’ESTATE A DOLCEDO
Intervista con Marino Magliani
In un villaggio ligure aggrappato tra mare e olivi, un anziano tedesco fuoriuscito dalla Germania est e una donna taciturna che ha viaggiato viaggiato zaino in spalla per mille paesi si ritrovano all’orlo di una rete di misteri che risalgono ai tempi della guerra.
Un libro intriso della nostalgia per le storie che il tempo ha sfilacciato, e per lo splendore di una terra ligure aspra e bellissima, da cui i giovani si allontanano e in cui rimangono ormai quasi solo gli anziani e i loro segreti.
Di “Quell’estate a Dolcedo” abbiamo pubblicato, in giugno, una recensione (www.romacultura.it/del_mese/giugno/magliani.html).
Di seguito, una breve intervista con l’autore.
MB: Marino, qualcuno, secondo me acutamente, ti ha definito: “Un Jack London ligure”. Quanto ti riconosci in questa descrizione?
MM: Mah, cos’ho in comune con J.L, intanto che entrambi non siamo accademici, ecco, e i viaggi, tutto quello che di più disperato accompagna i viaggi. Poi, se ti dicessi sí sono una specie di J. London farei solo dell'automitologismo gratuito. Che dirti, ho cominciato ad andarmene via da bambino da casa, se lo racconti sembra non so che effetto fa, ma c’é ben poco mito, credimi, in un bambino costretto a scappare.
MB: I tuoi personaggi sono spesso uomini e donne che hanno conosciuto il lato duro della vita, ma che sopravvivono e vanno avanti silenziosamente e misteriosamente, come le alghe ondeggiano nel mare. Cosa c’è di te stesso nei tuoi personaggi?
MM: I miei personaggi sono mossi da una speranza, forse cadono per sempre davanti a un muro,
ma la speranza resta intatta. Io cado per molto meno. Vedo muri dappertutto.
MB: Le tue storie hanno un ritmo deciso e una naturalezza che sembrano nascere da un’urgenza profonda di narrare. Ricordi quando ti è nato, e come, il desiderio di scrivere?
MM: Ho scritto da sempre, fin da bambino, vivevo in un posto da solo, dove inventare delle storie era legittima difesa. Poi ho letto, letto molto, e mi pareva di avere delle storie che somigliavano a quelle dei libri. E mi sono seduto...
MB: La limpidezza e il respiro sommesso rendono la tua scrittura del tutto particolare. Ci sono degli autori che pensi ti abbiano influenzato?
MM: Biamonti, la cui luce ligure brucia le pagine, le sue storie di passeur, e Beppe Fenoglio per come i suoi partigiani correndo alzano il fango. E sostiene Pereira, la più bella storia mai scritta, e per come é stata scritta.
MB: Una costante delle tue storie è la Liguria, la sua natura splendida e difficile, i suoi villaggi quasi abbandonati. Tu oggi vivi sulla costa olandese. Che cos’è per te la Liguria? Una terra perduta o una presenza viva, impossibile da abbandonare?
MM: E’ un mondo a cui tornare ciclicamente. Cominci a tornare dal momento in cui sei partito. E’ il mondo dal quale non scrivo, ma guardo, mi alleno, leggo, brucio un po’ di rovi che circondano la casa, salto sul motorino e scendo al mare.
MB: Cosa pensi, se ci pensi mai, alle difficoltà in cui l’Italia sembra dibattersi al presente? Qual è la prospettiva in cui appare il nostro paese a chi vive ormai da tanto tempo in un paese del nord?
MM: Una prospettiva di stupore. Talvolta pena.
Marta Baiocchi
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Descrizione: |
Il libro racconta la storia di un soldato tedesco, Hans, che nel 1944 viene inviato col suo battaglione in Liguria per combattere contro i partigiani. Lì, una notte, tra i rovi accade qualcosa. Urla, spari, sangue e poi, intravisto in un fosso, lo sguardo di una bambina che non riuscirà più a dimenticare. Terminata la guerra, ai rientro in patria, Hans finirà a vivere a Berlino Est, così che solo dopo quarantanni, qualche mese prima della caduta del Muro, riuscirà a tornare tra gli ulivi. Ma perché, e soprattutto, chi o cosa è tornato a cercare? Laggiù, tra quelli stessi rovi che ora hanno invaso le colline, incontra una donna legata con un filo doppio alla verità. E il mistero di quella notte e la colpa che così a lungo lo aveva attanagliato, troveranno finalmente una risposta e una tregua. |