“TODO MODO” AL QUIRINO DI ROMA E POI…IN GIRO PER L’ITALIA
Eterna attualità dell’arte o arte d’eterna attualità?
Nel 1974 il grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia,
pubblicava, all’età di 52 anni, un singolare romanzo di denuncia,
esplicito e metafisico specchio oscuro e chiarissimo
di una classe dirigente corrotta, ipocrita e assassina.
Due anni dopo, nel 1976, Elio Petri, ricavò da questa storia,
con innata maestria, uno tra i suoi migliori “film politici” interpretato da Gian Maria Volontè e Marcello Mastroianni.
Oggi, grazie all’idea ostinata, quanto opportuna di Sebastiano Calabrò,
condivisa e sostenuta da Gino Caudai insieme al Teatro di Messina,
ritorna ancora una volta, dopo oltre trentanni,
la voce antica e avveniristica di Leonardo Sciascia.
TODO MODO, che ha debuttato nei giorni scorsi, in Prima Nazionale
al Teatro Quirino di Roma, nella versione teatrale di Matteo Collura,
biografo dello scrittore, appare oggi più metafisica e reale che mai.
Merito di una messa in scena rigorosa ed essenziale
ad opera di otto attori e un’attrice impeccabili,
diretti con misura da Fabrizio Catalano Sciascia, nipote dello scrittore,
e da Maurizio Marchetti, attore e direttore del Teatro di Messina.
Si materializza così, amplificato dalla scena,
un “giallo” inesplicabile e sinistro,
oltre l’intreccio grottesco al limite dell’assurdo,
annunciazione attuale e profetica di “misteriosi crimini”:
delitti eccellenti consumati rigorosamente fuori scena.
Ed è proprio nella magia del linguaggio teatrale,
tramite l’incomparabile strumento della voce umana,
che balenano inquietanti bagliori,
nuove rivelazioni oltre la farsa tragica di un potere che genera follia.
TODO MODO, parola chiave di misteriose litanie,
suggerisce indagini e intuizioni a catena,
contusioni e contorsioni dell’anima stritolata tra avidità e terrore:
dove hanno origine primordiali fragilità dell’ umano
preziosa materia prima per quella antica “industria della paura” sapientemente amministrata da immutabili “chiese”.
Ma Leonardo Sciascia, con geniale intuizione
ci guida ancora oltre l’assurdo balletto di morte,
grottesco duello tra politici e prelati,
dove l’artista e il magistrato restano impotenti testimoni.
Lui ci dice che il germe di quel potere occulto e strisciante che genera follia,
va scovato e battuto nel retaggio di terrori primordiali che ci abitano
e che, inaspettatamente, possono renderci schiavi o tiranni.
A questo punto è difficile svelare di più senza varcare l’alone di mistero inviolabile in ogni “giallo”.
E dunque…uno spettacolo affascinante decisamente da vedere,
affidato alla emblematica “verità” dei personaggi
ad iniziare dallo scrittore, evocato da un evanescente Paolo Ferrari
che apre e chiude lo spettacolo con accorata eleganza, giusto contrasto
con la fremente sensualità del Don Gaetano di Giuseppe Pambieri.
E mentre “Padre Celeste”, interpretato seraficamente dal giovane Andrea Florioè in contrapposizione all’ineffabile stile cardinalizio di Giuseppe Calcagno,
Maurizio Puglisi è degnamente rappresentativo nel ruolo del “ministro”,
come Antonio Loccorriere è l’inequivocabile avvocato Voltrano
cosi come Maurizio Marchetti ci sembra perfetto
nel ruolo del magistrato consapevole dal volto aperto.
In altro registro risuona la voce di Antonio Alveario
cuoco solare e disincantato fuori dal coro di emblematici personaggi
travolti da valanghe di non risposte alle domande di sempre.
Non ultima, Paola Lorenzoni è Giulia: la donna,
che come spesso accade nella realtà, al di la dei contesti
e per sua naturale magia porta in scena la vita,
mentre cresce “ l’enigma della mano che uccide”:
ineluttabile rituale maschile di eterne liturgie.
La sera della prima nazionale al Quirino di Roma grande successo.
“Applausi di sortita” per i due protagonisti,
secondo l’antica tradizione del buon Teatro all’italiana,
e ripetuti applausi spontanei a scena aperta e risate
su ironiche battute dello scrittore sapientemente mediate da Ferrari
e sulle magistrali “tirate” dell’irruente Don Gaetano di Pambieri.
E in finale molte chiamate alla ribalta dove, non solo gli attori,
ma tutti gli artefici della messa in scena
hanno salutato e ringraziato un pubblico numerosissimo,
sinceramente e passionalmente coinvolto.
Sarina Aletta
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