PRECARIETA’ ED ETERNITA’ IN DUE ARTISTI AMERICANI
James Hopkins e Conrad Ventur espongono motivi e simboli, icone si direbbe più o meno retoriche e sacrali della nostra complessa e controversa contemporaneità.
Hopkins, curiosamente, concentra la sua ispirazione su un tenace (e quasi barocco) “memento mori”; si direbbe una sua ossessiva corda ribattuta sul motivo cinico e disperato di una constatazione, anzi della constatazione necessaria e fondamentale del nostro esistere: la presenza della morte che inevitabilmente commisura e soppesa ogni umano valore.
In “The Sands of Time” ricompone con pedanteria artigiana una natura morta lignea estraendone le parti da una bara sovrastante, in “Arachnophonic” scava da una funebre chitarra gli elementi per riprodurre corpo ed artigli di un ragno, in “The Last Supper” si ritaglia con ostinato metodo dalle pagine di una Bibbia aperta su una riproduzione dell’Ultima Cena di Leonardo la sagoma di una pistola automatica di carta, feticcio e strumento che oggi come oggi è nelle tasche di molti adolescenti deviati in cerca di un sé che prevalga ad ogni costo. Il tutto commentato sonoramente dal macabro ticchettio amplificato di un orologio da muro (“Increased Time”), sentinella spietata a cui tutto si riconduce e si annulla, soffio o piramide che sia. Altrove l’artista (“Slammer”) su mensole crollanti dispone liquori in fatale caduta, rifugio e alibi consueto di violenze e deliri, scappatoia e baratro di una umanità debole e mortificata che nell’alcool trova solo il coraggio dell’autoannientamento.
Con Conrad Ventur, saltando le sue scritte e manifesti emblematici, entreremo nella stanza magica e buia dove si consacra la ritualità e la rievocazione, in chiave di postuma santità, della Diva impietrita eppur viva nella sua umana eternità: Marlene Dietrich in una sua memorabile performance canora. Laddove, nel cielo notturno della stanza, si proiettano in rotazione perpetua frammenti della “femme fatale” in piccole stelle, testimonianza in fondo amorosa (se non addirittura commossa) per la donna, forte e consapevole per eccellenza, che fece della propria individualità monumento coraggioso al dilagante fiume dell’omologazione che tutto ingoia e consuma.
Luigi M. Bruno |