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L’artista svizzero Donato Amstutz focalizza la sua attenzione su una serie di immagini “Vanishing Woman” tolte da un contesto quotidiano fuggevole e consumistico per investirle, in qualche modo, di significati e contenuti filosofici/atemporali che riconsegnano l’abuso della figura umana ad una sorta di sostanzialità immanente.
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Nel fluire immotivato e caotico del nostro immaginario visivo è una attenta e minuta riconsiderazione del senso e della presenza di gesti, mani volti, rifissati e rivalorizzati.
Il curioso processo di questa “fissazione” dell’immagine dall’ingrandimento fotografico alla ricostruzione precisa del retino, dei “pixel”, si realizza poi mediante il ricamo a mano sulla tela. |
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Questa traduzione del momentaneo nella meditata e arcaica pratica del”punto croce” vale quasi come rinnovata, duratura sacralità della figura. Il filo, rosso di rame o nero, che tenacemente si aggruma e si dipana riformando ed evocando frammenti recuperati ai margini del grande scorrere che divora e annulla ogni cosa e ogni fatto, il loro riaffiorare nella dimensione paziente di una antica manualità, fa del nostro superficiale apparire la sostanza di una rinnovata riflessione.
La sequenza “Senza titolo/Entfesselt” delle mani incatenate sottolinea in modo drammatico una conseguenza oppressiva e repressiva che una società omologante e dilagante come la nostra, solo apparentemente libera e permissiva, opera sull’individuo ridotto in anonima schiavitù. |
L’artista poi riconsegna, con le sue confezioni ingrandite e ricamate di medicinali di abituale consumo, la valenza di muto feticcio all’oggetto seriale, operazione che rimanda alla tematica di denuncia e alla riappropriazione dell’oggetto quasi a dignità monumentale tipica della Pop—art.
Luigi M.Bruno
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