LA DONNA CHE PARLAVA CON I MORTI
Intervista a Remo Bassini
In una piccola città del nord, una giovane donna cerca di venire a patti con gli strascichi del proprio passato, con la necessità di trovarsi un lavoro dignitoso, con la passione per un uomo sfuggente. Intorno a lei, una galleria di personaggi di una provincia fatta di luci e ombre, che la sorvegliano, la giudicano, le mentono, le danno aiuto. Pochi passi più in la, stanno germinando i semi seppelliti nel passato di un dramma che si concluderà nel sangue. Con un linguaggio polveroso come fuliggine di fabbrica, Bassini ci conduce attraverso una storia piena di inquietudine, intrisa di tutte le incertezze dei nostri anni.
MB: Molti lo hanno già detto, Remo: la protagonista del tuo libro, Anna, è un personaggio che non si lascia dimenticare facilmente: il suo carattere, la forza con cui rimane sempre se stessa, fedele ai propri sentimenti e ai ricordi, senza rinnegare gli errori che ha commesso. Il tuo sembra uno sguardo davvero innamorato delle donne, ma delle donne come sono, non come se le inventano alcuni scrittori uomini.
RB: C'è una canzone di Vecchioni, intitolata “figlia”, che fa: «Vorranno la foto col sorriso deficiente, diranno, non ti agitare che non serve a niente. E invece tu grida forte, la vita contro la morte». Ma Anna io l'ho creata pensando a quelle donne, magari non vistose e non brillanti, che sono vere. Diciamo che è un omaggio a loro.
MB: Una cosa che invece mi ha sorpreso, nel tuo libro, è che alcuni dei personaggi maschili centrali sono in fondo uomini fragili, persi dietro a mille incertezze, sballottati dal loro destino. Si sente tanto parlare della crisi del maschio contemporaneo, e sembra quasi che tu abbia un’opinione degli uomini anche peggiore di quella che ne hanno alcune donne.
RB: Il mio libro e i miei libri contengono spesso una forte critica, che è anche un'autocritica, lo confesso, al mondo maschile, salvo eccezioni (nel mio libro c'è Fabrizio che si salva). Gli uomini, solitamente, sono più stupidi. Se hanno avuto una relazione con una donna spesso se ne vantano, hanno bisogno del gruppo. La donna invece è capace, più dell'uomo, a vivere e contenere passioni e segreti. Fa anche più paura, se vogliamo.
MB: Il personaggio del padre anarchico, dalla cui memoria la protagonista cerca di staccarsi senza mai completamente riuscirci, è invece una figura maschile che, attraverso gli occhi di Anna, guardi con gli occhi dell’amore. Ti sei ispirato a qualcuno che hai conosciuto?
RB: Un mio caro amico, anarchico, buono come il pane. E' morto a cinquant'anni. Ha una figlia, che ho intravisto con lui, una ragazzina. Sono convinto che è orgogliosa di quel padre strano, ma puro.
MB: Remo, so che sei un uomo che ha vissuto molte vite: operaio in fabbrica, sindacalista, disoccupato, portiere di notte, studente-lavoratore. Da alcuni anni sei giornalista de “La Sesia” di Vercelli, che ora dirigi. Leggendo il tuo libro, ho avuto l’impressione che questo aver vissuto tante vite, avere incontrato tanta gente, entri profondamente nel tuo modo di raccontare. Tu cosa ne pensi?
RB: Mi ispiro al vero, certo, perché un libro deve essere falso e vero allo stesso tempo. Ci sono luoghi, io credo, e li vado cercando, dove “piovono storie”. Ma non è indispensabile. A volte, e la letteratura è piena di esempi, è più importante scavare, dentro di noi. Io soprattutto mi ispiro a una frase di Flaubert, che più o meno dice che per scrivere bisogna vivere da buoni borghesi e pensare come dei pazzi. Serve ascoltare, sì, ma serve anche farsi male...
MB: Il linguaggio così poco rifinito, ruvido, che usi nel libro è uno dei fattori che rende la tua narrazione così calata nel vero. Da dove nasce questo tuo stile ?
RB: Dalla lettura ad alta voce del libro, specie dei dialoghi. Anna ha dei malesseri, dentro, e quando si hanno dei malesseri che non sappiamo risolvere ci si sfoga, aggredendo. C'è un linguaggio duro, anche durissimo, ma che si stempera nelle ultime trenta pagine: quando Anna ha recuperato l'autostima.
Comunque. Ho usato registri differenti. Nella parte introduttiva (se si eccettua una frase) c'è anche un tono rievocativo, fiabesco. Che poi, certo, viene sommerso dal resto.
MB: Non voglio svelare la parte finale della trama, ma certamente il personaggio della donna che parla con i morti risulta determinante nel dare al libro quel senso di tensione che lo percorre tutto. Tu parleresti con i morti, se si potesse? E cosa pensi che ci direbbero?
RB: La donna che parla con i morti, e che nel libro si chiama Marta, è la parte “più vera” del libro. Io sono agnostico, ed ero prevenuto. Dopo averla conosciuta diciamo che ho cambiato opinione. Ha un mondo suo, difficile da capire fino in fondo. Io comunque parlo con i “miei” morti come fa Anna, quando va alla tomba di suo padre. Gli dice cose, come se fosse vivo, senza cercare risposte. E' il modo migliore, ne sono convinto.
Marta Baiocchi
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