Mediterranea

LA LORO AFRICA

Se i tropici di Claude Levi-Strauss sono tristi (1), quelli di Nigel Barley sembrano invece usciti da un film dei Monthy Python. Parliamo de Il giovane antropologo, opera prima scritta dal ricercatore nel 1983 a 27 anni ed ora tradotta per i tipi della Socrates (2), in cui si descrive la prima spedizione di questo giovane studioso uscito da Cambridge e mandato allo sbaraglio nel Camerun presso la tribù dei Dowayo. Una volta avuti fondi e autorizzazioni, il nostro eroe parte con il bagaglio teorico e libresco che ben conosce anche chi ha fatto almeno un esame di antropologia. Solo che la realtà è diversa, imprevedibile, e soprattutto dura. Lo è stata sicuramente anche per Levi-Strauss, Malinowski, Margaret Mead, ma nei loro libri non se parla quasi mai, per cui questo diario iniziatico di viaggio è tutto da gustare. Intanto la prima, reale analisi antropologica l'autore la fa non sugli sperduti Dowayo, ma sulla corrotta e inefficiente burocrazia africana, sulla falsa efficienza delle ambasciate, sugli ambulanti ossessivi che ora conosciamo anche noi, sui bianchi che vivono in Africa e sugli africani che ci convivono. Chi ha lavorato in Africa sa quanto forte è l'impatto con le leggi francesi applicate dagli africani, con le banche e le poste locali, col servilismo dei poveri e il razzismo interetnico. Alla fine, dopo un pazzesco viaggio su un vecchio treno con vagoni italiani della Grande Guerra (!), il nostro eroe arriva a destinazione (3), in una zona di frontiera dove vivono i suoi Dowayo. Purtroppo deve appoggiarsi alle missioni cristiane, dove incontra cattolici tolleranti e luterani paranoici, gli unici che possano comunque dargli un supporto, al di là delle note differenze di vedute tra missionari e ricercatori. Fatto sta che alla fine riesce a pronunciare la fatidica frase "Portami dal tuo Capo" e iniziare la ricerca sul campo. Ospite di riguardo del capotribù, si accorge ben presto che di essere accettato non tanto come mediatore culturale, ma come quello che mette a disposizione la macchina comprata sul posto e trova lavoro agli altri, né più né meno come un sergente degli Alpini in Afghanistan. In più l'immagine che loro hanno di noi è falsata quasi quanto quella che noi abbiamo di loro. Basti pensare che le ragazze della tribù sono convinte che il nostro uomo la notte si levi la pelle! Ed è così che il nostro antropologo utilizza per la ricerca solo una parte delle sue energie, il resto venendo speso per ammalarsi e guarire, per cacciar via pipistrelli e scorpioni, per recuperare i fondi, per farsi capire: "Nel periodo che ho trascorso in Africa, ho calcolato di aver passato forse l'un per cento del tempo a fare ciò che veramente ero andato a fare. Il resto del tempo lo passai a organizzare, ad ammalarmi, a socializzare, a fare preparativi, ad andare da un posto all'altro e soprattutto ad aspettare. Avevo sfidato le divinità locali con la mia urgenza indisciplinata di fare qualcosa" (cap. 7, p. 110). Gli africani infatti non se la prendono tanto, hanno i loro tempi e le loro cerimonie, alcune delle quali sono descritte in dettaglio: la circoncisione, il culto dei teschi, la raccolta del miglio, alcuni rituali di magia. Ma non è facile farsi capire da una tribù la cui cultura è stata descritta (male) da altri in altre lingue, compresa una locale lingua, il Fulani, piena di razzismo verso questi reietti. Ed è facile sbagliarsi nelle intonazioni e dire sconcezze nel momento sbagliato, parlando di sesso a sproposito. Difficile poi capire perché gli animali più temuti siano i gufi. In più i suoi Dowayo sono anche gran burloni e si divertono con questo inglese tutto d'un pezzo, che sicuramente riuscirebbe spassoso anche per noi. Altro che "sacralità e divino distacco" dell'antropologo! Per fortuna il nostro è convinto che in antropologia non manchino affatto i dati, ma manchi spesso l'intelligenza per leggerli, quindi ne raccoglie quanti può per tempi migliori. Che non saranno quelli trascorsi in Africa: prima di ripartire il nostro eroe sarà derubato in albergo, senza che la denuncia porti a risultati pratici. Dove lo derubano? Naturalmente a Roma. Tutto il mondo è paese, ma il giovane antropologo ce lo dimostra senza falsi romanticismi.

Marco Pasquali

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NOTE:

(1) Claude Levi-Strauss, Tristi tropici. Milano, Il Saggiatore, 1982 e ristampe successive

(2) Titolo originale: The Innocent Anthropologist: Notes From a Mud Hut (1983)

(3) In materia di treni africani, posso testimoniare che la Guide du Routard dà un diploma speciale a chi dimostra di aver preso dall’inizio alla fine il treno Bamako-Dakar.

Il giovane antropologo

Titolo originale
Il giovane antropologo
Autore
Nigel Barley
Traduzione:
Paolo Brama e Francesca Sabani
Edizioni

Socrates, 2008

Pagine
224
ISBN
978-88-7202-031-9
Info:
http://www.edizionisocrates.com

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