Mediterranea

C’È CRISI E CRISI

 

La crisi è ampia e si estende ad ogni campo e nell’arte contemporanea è cronica da un decennio, forse anche due, che non dipende solo dai limitati investimenti, ma va oltre, colpisce la creatività, per dar sfogo ad irrefrenabili corse alle quotazioni stratosferiche.
In arte, come un economia, sono sempre più numerosi a pensare che un ridimensionamento dell’arte come bene rifugio e del mercato collezionistico sia un bene, potrà sollecitare la ricerca di un’arte che non si limiti a cercare di scandalizzare e dare spettacolo della sua inconsistenza.
L’era craxiana stimolò oltre misura il mercato dell’arte, improvvisati artisti vennero commercializzati da riciclati mercanti d’arte per collezionisti in cerca di status simbol. Un bluff che si è prolungato e ha vivacchiato nella pigrizia, nonostante il tremendo contraccolpo ricevuto dal tentativo di dare un ordine nella disinvolta politica italiana.
Ancor più profonda, se mai fosse possibile, appare la crisi dell’arte contemporanea a Roma con l’arrivo di Massimo Luca Barbero a sostituire Danilo Eccher.
È una bella crisi se la destra non ha teste pensanti nell’ambito romano per andare a pescarne una nel Canal Grande, che sia un critico, un curatore che possa fare gli interessi di Roma, disattendendo l’impegno elettorale del centro-destra nel risparmiare e nel valorizzare le professionalità interne all’Amministrazione comunale.
Porgiamo il beneficio del dubbio e la speranza di non trovarci davanti ad un nuovo Eccher, rapito dal turbinio dell’internazionalismo. Il Macro doveva essere il simboli della rinascita culturale italiana, una vetrina per Roma e non per l’ego dei direttori.
Giovanna Buonasegale potrebbe, per il misero stipendio da dirigente comunale, fare molto di più e lo dimostrò con onore in passato, ma Macro diventerà una Fondazione aperta al privato, per continuare con gli oneri al pubblico, mentre gli onori ad altri.
Sembra impossibile che a Roma o magari nel Lazio, si può anche estendere la ricerca a tutta Italia centrale, non trovare un critico con una testa pensante e delle buone gambe, gradito al centro-destra.
Un curatore consapevole della realtà artistica romana e interessato a camminare per visitare i luoghi degli artisti, senza riproporre i soliti “quattro gatti” della Transavanguardi e i “cinque” fortunati di San Lorenzo che si confrontano con i soliti conosciuti e sconosciuti internazionali.
Massimo Luca Barbero dovrà dimostrare di conoscere Roma, visto il risultato come curatore di parte della penultima Quadriennale (XIV), e non limitarsi a ritenere Venezia e New York le sua città ideali.
La speranza è nelle premesse che non siano forvianti, oltre a non veder disilluse le aspettative riposte nelle dichiarazioni rilasciate dal sindaco Alemanno con entusiasmo, nel giugno passato, su il periodico “La Lupa dell’Arte”, a favore della promozione dell’arte contemporanea romana e nel garantire la pluralità dei linguaggi in uno spazio come Macro e a rivalutare l’identità italiana.
Il rilancio di Macro non può essere limitato ad un insigne conoscitore dell’arte di qualche anno passato e magari del panorama internazionale, con un biglietto aumentato, magari da un euro a cinque o dieci, ma per vedere cosa? Opere che, come non dimentica di ricordare il Ministro dei beni e delle attività culturali, non appaiono comprensibili.
Trasformare Macro in fondazione, per la creazione di una piattaforma dedicata all’arte contemporanea unica con MAXXI e Palaexpo, potrebbe essere l’occasione per la divisione dei compiti e non avere dei doppioni. Una piattaforma che comprende la Gnam (Galleria nazionale d’arte moderna), ma escludendo la Gcamc (Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea) che stranamente da vita insieme al Crdav (Centro ricerca e documentazione arti visive) i Musei di arte contemporanea.
Gli spazi sono importanti, ma il problema risiede nel mancato lavoro di conoscenza e sensibilizzazione verso la contemporaneità artistica. Un compito che gli enti pubblici dovrebbero farsi carico, impegnandosi a monte di qualsiasi museo o mostra, per avvicinare il fruitore ad una materia sicuramente ostica che spesso usa un linguaggio non riconoscibile per tutti.

 

 


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