SATANA, ADESSO
Non solo thriller, il libro di Binaghi è piuttosto un minuzioso inventario delle proiezioni paurose che inquietano l’uomo comune del passato, del presente e, verosimilmente, del futuro. Dal neonato nella pancia del pesce agli adolescenti satanisti, dai festini sadomaso al traffico di organi, dalla guerra immunologica al racket della prostituzione. E poi il fratello perduto, il disastro della scuola italiana, il bambino nell’orfanatrofio, la fanciulla incatenata, la fecondazione in vitro, l’impossibilità di ottenere una linea ADSL funzionante. Tutto questo e altro ancora, non c’è nulla che Binaghi abbia dimenticato in un libro che fa venire in mente la facciata di una cattedrale gotica, gremita di artigli di mostri, di bestiali peccatori e di infernali punizioni. Qui, si può star certi, il Male viene descritto con la morbosa attenzione che solo alcuni (pochi) cattolici sanno tirar fuori (“Si gettarono su di lui come i cani su Atteone [...] finché dal mucchio bestiale emerse la signora Pasini, e sputò sul pavimento il pene del marito”).
L’autore stesso in un’intervista ha dichiarato: “l’oggetto [di questo romanzo] è il Male: Satana, nella vulgata. È molto più di un problema teorico per ognuno di noi. Ciò che preferiamo considerare come il caso o la necessità secondo alcuni è un disegno intelligente per altri.”
Un romanzo filosofico, quindi, almeno in parte; un contraddittorio diretto al Pendolo di Foucault. Mentre il romanzo di Eco voleva mostrare come l’immaginario dell’uomo talvolta si solidifichi fino a fabbricare un inferno reale, Binaghi, di contro, ribadisce che il Diavolo c’è, e ha esistenza propria. Citando Baudelaire ammonisce: il miglior successo di Satana è convincerci che non esiste. Il Male esiste, invece, e si incarna nella smania di vita virtuale, nella perdita di limiti del desiderio umano, nella dissennato negare gli eventi naturali come la vita e la morte, e nel tentativo di manipolarli e mercificarli. Una tesi che forse non arriva a farsi del tutto convincente, ma che Binaghi espone fuori dai denti e senza giri di parole, senza timore di andare controcorrente. Il che è un merito.
La narrazione, poi, eccessiva, istrionica, spesso sgangherata, nell’insieme abbastanza divertente, si srotola in una trama intricata e piena di doppi fondi, in una provincia padana dipinta con affettuosa nitidezza.
Il libro ci lascia, alla fine, però, con un dubbio: che, forse, l’autore stesso sia caduto nella rete diabolica contro cui si scaglia: quella della spettacolarizzazione del male, dell’utilizzo della paura a scopo di mercato, del piacere del macabro e del grottesco, dei mostri sbattuti in prima pagina e nelle successive.
Marta Baiocchi |