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Perché scriviamo?
Creare…oltre pura ambizione della forma,
è remoto sogno di stellata perfezione.
Ma l’essere umano brandisce con fatica la parola
inseguendo miti d’irraggiungibile bellezza che sfuggono…
volano via…posandosi sempre un po’ più in la.
E se le parole, come le vesti spinose dello scorfano,
fossero mimetiche difese…maschere o corazze?
E se accadesse…esattamente il contrario?
O se invece affidando il tempo alla scrittura
e la scrittura al tempo, giocassimo…ad esorcizzare la morte?
Tutte le risposte del mondo non valgono una domanda
e di domanda in domanda si rischia di incontrare l’indicibile.
Noi procediamo soltanto a caccia di ipotesi,
tra indizi e sospetti…lungi dall’istruttoria.
Se è vero che per comprendere l’attimo puoi solo mangiarlo,
e poiché l’umano ama mangiare in compagnia,
tanto più se può permettersi una fame non solo fisica,
è facile immaginare che ognuno mangi/scriva golosamente
o disperatamentente,
nella voglia di comunicare ad altri, e a se stesso,
il sapore fuggevole dei propri attimi.
E dunque scrittura come difesa…
dal famigerato tempo tritatutto che,
diciamolo pure, non è mai stato straordinario…
come vorrebbe credere chi dice: “Ai miei tempi…”
Insomma perché… gettiamo dadi di parole su spazi bianchi,
mettendo a fuoco nebulose dell’anima,
in un’eterno autoritratto tra cubismo e astrazione?
Indagine sterminata da rimandare saggiamente ai posteri che,
come ben sappiamo, sono efficientissimi in materia.
E in noi resta il sospetto che la scrittura sia sempre un alibi
insinuando o svelando più di quanto vorremmo scoprire
e ancora una volta è pur vero il contrario.
Ma, come sempre, alle soglie del profondo ci fermiamo
su questa lieve fugace indagine piacevolmente inutile
se non ad alimentare il sospetto, già insinuato da Anassagora
e minimizzato da Shakespeare,
che le storie, in fondo, siano pochissime, forse una sola:
inevitabile, caleidoscopica e seducente,
ripetuta da sempre e diversa…in infiniti giochi di parole. |