CHOCOLATL
SECONDO CAPITOLO
MALINALLI SA COSA FARE
Così è, cercherò l’erba che calma.
Così è, andrò oltre lo stagno e i nidi degli uccelli rosa poi, dalla collina delle cornacchie, i miei occhi vedranno l’albero che sembra un grande uomo ma che prima era un dio, così è.
Così è, sotto le grandi e tristi braccia dell’albero che sembra un grande uomo ma che prima era un dio, troverò l’erba che calma, per la testa agitata di Put, così è nobile e generosa Jaina, moglie tra le mogli del generoso Put.
Corre, corre Malinalli, la schiava, la straniera, fuori della casa dell’egro Put, lasciando impronte leggere sulla terra grigia; sotto il sole incerto, corre verso il colle alto di pietra, all’altare di Xipe, a cercare nella grotta dei sacrifici, a prendere il vaso nascosto ricolmo di polvere di caca-hutl, seguendo tra i canneti un sentiero che conosce.
Corre, Malinalli, con il cuore in gola, e la felicità riempie i suoi occhi fino alle lacrime, fino alla vista che, inseguendo veloce la gioia come una fiera troppo affamata la preda, si perde, si offusca.
Malinalli, è sola, è libera, e sa che tutto questo, nell’anno ce-acatl, doveva accadere, che il dio è tornato e una giovane donna alla gloria, al comando, lo guiderà, come aveva ascoltato nei canti e sentito recitare da Yul, lo sciamano, fin da bambina, a Painala, con le madri, dentro la casa di Zacatenco, suo padre.
Come ha deciso per lei anche Put, il commerciante di mais e di maiali, offrendola in dono, per cortesia, per la sentita ospitalità, insieme con altre due schiave, a sei grassi maialini, a quattro scudi piumati, ad una preziosa boccetta di essenza di erba che calma.
Tutto perduto, dopo la tremenda battaglia di Tabasco, dopo la vergogna e le distruzioni, dopo il sangue, l’incendio e la resa.
Ceduta per placare un dio barbuto e terribile, offerta a quelle furie che caricano, soffiano e stridono, alle cerbottane che sputano fuoco, a quei diavoli che un mantello del dio protegge. Chi l’ha mai visti? Che proseguano per la loro strada, alla ricerca del giallo metallo, verso le terre dei mexicos, del ricco e fiero Montezuma, che vadano altrove, che dio li porti all’inferno, che l’immenso spirito mi protegga! piagnucola Put, senza capire, sdraiato vicino al fuoco, coperto da un telo e tremante, con gli occhi chiusi per il terrore.
Povero Put, che dio ti maledica! le mani esperte di Malinalli già mischiano con cura, in una ciotola larga, il caca-hutl, la polvere scura, all’acqua, al latte, ai nettari dolci.
Quetzalcoatl, dio tornato dal mare, nella grande tenda seduto, scintillante nel corpo e nel viso barbuto.
O dio, o potente, quale felicità è stare al tuo fianco!
DIFFICOLTÀ
Difficoltà, signor capitano generale! e voi, dottor Sacher, non mi sapete ripetere altro che difficoltà! Idioti!
Il capitano non è di buon umore, riflette Gonzalo de Sandoval, alle cui orecchie giungono gli echi della possente voce di Cortés, mentre sale deciso su per una scala di pietra, evitando travi ancora fumanti, piegandosi sotto una porta bassa ed entrando in una delle stanze della grandiosa residenza del deposto cacicco di Tabasco, una delle tre rimaste ancora in piedi.
La stanza, stretta e buia, trapezoidale, di pietra granito, ora improvvisato comando del capitano generale, è quello che si è salvato dell’osservatorio della torre astrale di Zapat l’inascoltato, il sommo sacerdote, dopo il rovinoso crollo del palazzo, dopo gli incendi.
Forse gli uomini sono stanchi: hanno solo bisogno di riposo e di terra ferma, signor capitano generale, si faranno un bel sonno.
Un b e l s o n n o ? non ti ci mettere pure tu, Sandoval! quegli imbecilli si sono bevuti,
esattamente ventidue ore fa, un non so quale intruglio e ora sono stesi lì, in quaranta, per terra, e nessuno li riesce più a svegliare! tuona la voce di Hernán.
Erba che calma, erba che calma, così è! così è! ripetevano quei cretini, prima di perdersi del tutto. Una specie di olio, un incenso scuro, così mi hanno riferito.
Poi, sciolta nell’acquavite, se la sono bevuta e sono caduti come beati, a farneticare non si sa che! dei completi imbecilli, ecco quello che sono, altro che erba che calma!
E che pensare di quell’altro, del dottore! di quello che lo so io come fare, e che, poi, mi viene a dire che, per intervenire, per rimediare, incontra delle impreviste d i f f i c o l t à.
Lui, il saputello ... mentre qui intorno non si vede altro che ignoto, pericolo e nemici. Quaranta uomini spediti nel mondo dei sogni per una boccetta di quella stramaledetta erba che calma, quaranta su cinquecento!
In compenso, ho da riferirvi una notizia confortante, signor capitano generale, riprende sicuro di sé Gonzalo, che sa di placare con argomenti la perenne stizza di Hernán.
Con noi c’è una prigioniera, nativa delle regioni dell’interno, una schiava che hanno portato ieri con il bottino, una che, sicuramente, ci tornerà utile.
Questa donna, che sa la lingua dell’altopiano, e conosce quella di queste genti, la stessa che parla e comprende Aguilar il naufrago, questa donna, ci consentirà di inoltrarci con più informazioni e con meno pericoli alla ricerca della misteriosa Tenochtitlàn, la città dei mexicos, la città del leggendario Montezuma, la città dei tetti d’oro.
Sarà utile indagare e saperne di più, fammi parlare con lei ... ma più tardi, domani, dopo il tramonto, adesso ho troppo da fare, dice Hernán, mentre distratto e nervoso cerca di mettere un po’ d’ordine nelle carte sparse sul tavolo, tra la bella e le brutte, tra il dettagliato rapporto che sta scrivendo al suo re e l’inventano delle ricchezze acquisite.
Dalla città di Tabasco, per nostro signore, oggi, addì 17 marzo 1519.
CHOCOLATL
di Marco Fabiano
fine secondo capitolo
segue …. |