VIVA LYNCH ABBASSO LYNCH
Personalità complessa e controversa, questo geniale regista americano è un maestro nel filmare la realtà che va in frantumi e i frammenti scomposti e mescolati alla rinfusa costituiscono sempre un rompicapo, un vero e proprio rebus per lo spettatore: ci si perde nel tentativo di rimetterli insieme. I suoi film sono per cinefili puri e sinceramente solo una sottile linea separa il giudizio finale: sono capolavori o sono bluff? Indubbiamente Lynch fa discutere e spesso i motivi per cui lo si ama sono gli stessi per cui lo si odia. “Il cinema è unione di suoni e immagini e i miei film sono difficili e oscuri come difficile e oscura è la vita” ama ripetere il regista. Lynch pur essendo interessato alla realtà ama esplorare mondi differenti. Il suo cinema ci porta verso universi sconosciuti dove spesso non si sa dove si va a sconfinare. Nei suoi film il mistero si mescola ad atmosfere angosciose, ambigue e inquietanti dove l’altrove è immerso nella nebbia del non conosciuto. Lati oscuri, immagini deformate, situazioni sospese, intrecci tra finzione e realtà, il cinema nel cinema: tutto questo è INLAND EMPIRE ( il maiuscolo è d’obbligo). E ancora di più. Uno specchio rotto in mille pezzi, un’architettura barocca che si sfalda, un pugno nello stomaco come del resto tutta la filmografia di Lynch. INLAND EMPIRE è un’esperienza straordinaria, unica per lo spettatore che si trova davanti a un film nel film. Non c’è una trama predeterminata ma le piste narrative che emergono sono tante e inaspettate e man mano si sprofonda nell’inconscio. Un’attrice (Laura Dern, nome caro a Lynch) è chiamata a recitare in un film, ma non riesce più a capire qual è la realtà in cui vive. Incubi, allucinazioni, sdoppiamenti di personalità, tutto attraverso una gamma di espressività magistrale. Lo stupore negli occhi della protagonista è proprio quello di chi non sa dove sia capitata. Jeremy Irons veste i panni del regista e il suo volto tormentato e inquieto ben si addice al ruolo. Lynch, nel film, ha usato per la prima volta il digitale e questo ha scatenato di più la sua fantasia: le immagini digitali rispondono perfettamente all’esigenza dell’autore di passare dal sogno alla realtà più degradata e rendono l’orrore e l’assurdo quasi più intimi. Il cinema di Lynch non può essere razionalizzato, va intuito e l’intuizione si raggiunge solo se emozione e intelletto viaggiano insieme. L’intuizione diventa così una specie di illuminazione, uno stato d’animo che si conquista attraverso l’esercizio della meditazione. “Non amo spiegare i miei film, anche perché i film non si spiegano” dice Lynch. Ed aggiunge: “Tutto riguarda l’immagine e non le parole. Spesso inizio a girare senza sapere davvero in quale direzione andare”. E questo credo sia il commento migliore per spiegare un enigma.
Ester Carbone |