RACCONTANDO
LA GUERRA
Eccezionalmente presentato in Campidoglio
dal sindaco Veltroni e dal regista Folco Quilici, il libro
è stato scritto da un quarantenne diplomatico di
carriera, Diego Brasioli, attualmente console generale a
Los Angeles, ma ben esperto di lavoro nelle c.d. “sedi
disagiate” dove per solito si mandano i giovani funzionari
a far carriera. Già autore de Il caffè di
Tamer (Mursia 2002), storia dell’amicizia impossibile
tra un arabo e un ebreo a Gerusalemme), Brasioli qui fa
il punto della sua esperienza nei paesi dell’Asia
islamizzata: Libano, Palestina, Giordania, Afghanistan,
Iraq. Paesi troppo spesso toccati dalla guerra, alcune città
– Cana, Jabul, Baghdad – si direbbe addirittura
ogni dieci anni. Chi è rimasto ancorato all’immagine
del diplomatico distaccato e formale si aggiorni: è
vero che in sede le notizie arrivano filtrate e che da un’ambasciata
si riesce a mantenere i collegamenti con tutti, ma quando
le bombe arrivano – intelligenti o meno – siamo
tutti uguali. E il libro inizia proprio con Beirut sotto
le bombe, non quelle che vediamo in televisione, quasi parte
dello spettacolo serale, ma quelle vere. E da qui si dipanano
una serie di storie dentro l’altra, come nelle Mille
e una notte, ma tutte legate alla guerra: Selim il matto,
scemo del villaggio dopo un trauma da bombardamento, Alì
rimasto senza braccia, Helicopter Boy di cui nessuno sa
e saprà mai l’identità, più tutte
le scene di devastazione viste di persona o raccontate dagli
stretti collaboratori d’ambasciata. Si parla dei campi
profughi palestinesi in Libano, del ritorno a Baghdad nel
1995 nella nostra sede diplomatica saccheggiata (ma, simbolicamente,
si salvano almeno un pezzo della bandiera e – settaglio
surreale – un libro per bambini illustrato dal padre
dell’autore). Perché il libro non racconta
tanto la guerra, ma le sue conseguenze sulla gente comune.
La vicenda dei campi profughi palestinesi è esemplare:
essa viene narrata attraverso la storia di Selim, lo scemo
del villaggio ormai sessantenne, ma reso demente da una
strage del 1948. Vive da sempre nei campi profughi, l’ultimo
dei quali ha il poetico nome di “Dolce Sorgente”.
Campa della carità dei vicini, che lo considerano
toccato da Allah (la follìa non è per l’Islam
una patologia) e quasi per ultimo desiderio si dirige verso
il mare. Ma si racconta anche dell’odore nauseante
che promana da rovine, campi di battaglia e tendopoli, dell’angoscia
per i figli degli altri (l’autore è anche padre).
Una novità nella storia italiana è infatti
lo sviluppo di una cultura di guerra, nel senso di una riflessione
su un fenomeno che per quasi cinquant’anni abbiamo
avuto il previlegio di ignorare, ma che ora coinvolge praticamente
tutti. Anche dove Brasioli descrive un altro mondo –
Los Angeles, da lui definita “le retrovie della realtà”
– non gli sfuggono sia il conflitto latente tra comunità
incapsulate più che integrate, sia la tendenza americana
ad espandersi all’infinito verso l’esterno,
foriera (ma è troppo diplomatico per dirlo) di altri
conflitti. In realtà, per essendo un diplomatico
in servizio, l’autore manifesta una notevole libertà
di pensiero, spesso andando ben oltre il politically correct.
Non fa sconti a nessuno quando si tratta di dire le cose
come stanno o come si comporta questa o quella fazione,
per non parlare del terrorismo suicida di cui correttamente
ricorda il primo esempio storico nel 1983 a Beirut, contro
la base dei Marines e dei francesi. Ma se da un diplomatico
ti aspetteresti una buona analisi teorica che giustifichi
un conflitto piuttosto che un altro, Brasioli al contrario
ci riporta continuamente alla realtà fisica, al sudore
dell’agonia, e cerca di farti capire che non esistono
guerre giuste e che compito della politica e della diplomazia
è proprio evitarle e disinnescarle in tempo.
Marco Pasquali
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Descrizione |
Da Beirut
a Baghdad, da Kabul a Los Angeles: un diplomatico racconta
la guerra sempre dalla parte delle vittime. Questo lo spirito
de 'Le stelle di Babilonia' di Diego Brasili, console generale
italiano a Los Angeles. Diego Brasioli ha vissuto gran parte
della sua vita nei Paesi del Medio Oriente, nei luoghi dove
la guerra scandisce i gesti e i tempi della vita quotidiana,
ha attraversato luoghi devastati dai conflitti da Baghdad
a Gerusalemme, isolando dettagli minimi, piccole storie
e ritratti di persone sconosciute, condensati nel volume
in libreria dal 9 maggio.
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