THOMAS
JOSHUA COOPER
International Waters
Definire
Thomas Joshua Cooper un fotografo, seppure un raffinato
fotografo d’arte, è termine assai riduttivo,
anzi deviante. In effetti Cooper impasta ombre, vapori,
luci con la meditata intuizione pittorica dell’artista
sicuro del suo mondo espressivo, del suo “atlante”
emotivo. Il mondo di Cooper è la sua perenne ricerca
dello spazio, della solitudine, dell’elemento primordiale
per eccellenza: il mare. Sì, potremmo parlare anche
di un Cooper fondamentalmente romantico, dando a questo
attributo abusatissimo valenze di profondità espressive
che allontanano qualsiasi sospetto di sentimentalismo.
Il romanticismo di Cooper, distante dalla tematica metropolitana
violenta e degradata, è il romanticismo dei grandi
paesaggisti (Turner, Friederich) e del loro amoroso, atavico
stupore davanti all’abissale (straziante direbbe Pasolini)
bellezza del Creato. Cooper percorre solitario l’Oceano,
non il magico, leggendario Mediterraneo radice d’ogni
favola classica, ma il mare remoto, selvaggio, inaccessibile
delle grandi solitudini atlantiche. Con la incredibile,
nostalgica “scatola” magica (un “banco
ottico” 18x13 del 1898) Cooper, raggiunte le sponde
di un mare primordiale, vuoto di creature, di marinai e
di gabbiani, si pone per ore in muta, e possiamo ben dire
mistica, attesa del prodigio, quando l’occhio della
sua “scatola” è pronto a congiungersi
al vapore delle onde, ai flutti ampi e oscuri, al grembo
stesso terribile e dolcissimo del padre Oceano. Da questi
viaggi ai confini del mondo, oltre le colonne d’Ercole
della chiassosa e pretenziosa conoscenza umana, Cooper ci
riporta messaggi di un mondo che non ha spettatori, che
non vuole umane confidenze e sentimentali languori. Dai
confini del mondo Cooper, come il grande Turner, ci riporta
l’emozione fondamentale di un tutto cosmico, galassia
d’acqua in cui ogni cosa s’involve e s’annega;
e l’uomo è solo un presagio di là da
venire.
Luigi
M. Bruno
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