LA
VERITA’ NON E’ NEI LIBRI
Un’autorevole biblioteca universitaria
e i libri, inchiodati, sparsi dappertutto: questa la prima
efficacissima sequenza di “Centochiodi”. “Se
non fosse irriverente direi che è un’opera
d’arte geniale” esclama l’ispettrice di
polizia incaricata di indagare sul caso e non di meno la
scena esprime: la potenza visiva è più che
eloquente. L’autore del “misfatto” è
un giovane professore di filosofia, una sorta di Cristo
moderno, in piena crisi esistenziale: “Se mi volto
indietro non vedo nulla, ho letto un numero incredibile
di libri, ho vissuto una vita di carta che non mi ha dato
niente; ho cercato la verità ma i libri sono ingannevoli
e mi hanno deluso. È necessario rinascere, cambiare”.
Forte della sua convinzione il professore scappa e decide
di dare una virata alla sua esistenza. Voltate le spalle
alla città e al passato intraprende un percorso nuovo,
una vita fatta di cose semplici ed essenziali: sarà
una scelta consapevole e determinata, un ritorno alle origini
in mezzo alla natura, a contatto con gente che vive il quotidiano
con naturalezza e sobrietà. Il segreto è tutto
lì, nella forza di quella terra generosa e nel candore
e nell’umanità del popolo che la abita. Ragazze
sempliciotte e uomini rudi che, esprimendosi in dialetto,
rivestono le parole di autentica sincerità, ci mettono
più cuore, più calore. Lontano dall’artefatto,
lontano dal freddo delle città, lontano dal progresso,
dalle frustrazioni e dal caos. Per quelle persone semplici
il professore è come un novello Cristo dalle cui
labbra pendono quando lui racconta le parabole del Vangelo.
“Centochiodi” è un piccolo gioiello pieno
di poesia e di un che di fantastico come solo i film di
Ermanno Olmi sanno essere. Non si può non ricordare
il suo “Albero degli zoccoli”, un vero capolavoro
di sensibilità e di emozioni, uno splendido affresco
generazionale. Da sempre Olmi è una voce fuori dal
coro, ma coerente, nel panorama del cinema italiano. I suoi
film, semplici e profondi, regalano spunti di riflessione
sull’uomo e sulla vita in generale. “Centochiodi”
è una parabola moderna, folgorante, che sublima questo
tipo di percorso caro al regista. Qui il Cristo evidenziato
non è quello divino, ma il Cristo uomo (Padre perché
mi hai abbandonato?), quello che soffre e che ogni giorno
porta la sua croce. È l’uomo di fronte alle
grandi domande esistenziali rimaste senza risposta, solo
e pieno di rabbia davanti alle sofferenze dell’umanità,
la stessa ribellione che porterà il giovane professore
a gridare una frase forte: “Sarà Dio, alla
fine dei tempi, a dover rendere conto del male e del dolore
che anima il mondo”. Raz Degan dà volto e intensità
al protagonista ma è fondamentale l’apporto
di Adriano Giannini che gli dà voce: una voce profonda
che arriva e illumina. Il film ci invita a recuperare la
giusta misura della vita, il gusto delle cose semplici,
la riscoperta delle tradizioni, il ritorno alle origini,
al benessere primitivo, alle radici; ci fa capire l’importanza
di dividere il proprio tempo e la propria vita con gli altri.
Tutto questo attraverso immagini che ci regalano un mondo
passato, quasi fiabesco. Olmi racconta l’incanto dei
tempi andati, la natura incontaminata e bella, il lento
scorrere del fiume che scandisce il ritmo di vita di coloro
che abitano quelle sponde, i bei tramonti e le notti di
luna, gli alberi inargentati, le pietre antiche cariche
di ricordi e, poi, racconta gli uomini che sono un tutt’uno
con la natura, gli uomini che tanto sanno dare senza nulla
chiedere in cambio. Questo è quanto basta per darci
commozione e un senso di pace, per farci cogliere il significato
profondo delle cose e per capire che la verità è
lì, a portata di mano, nell’armonia dell’uomo
con la natura ma anche con il suo simile. In fin dei conti,
per Olmi, un caffè con un amico è meglio di
un libro.
Ester Carbone
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