Mediterranea

TUTTO IN QUATTRO MINUTI

Insolito, sorprendente, spiazzante, duro e feroce. Intenso e struggente, toccante da sciogliere il cuore. Si scende nell’abisso, ci si perde nei labirinti oscuri della psiche e un attimo dopo si vola in alto sulle note classiche di melodie immortali o su quelle frenetiche e coinvolgenti afroamericane. Stregati dalle mani e della genialità della giovane pianista Jennifer, una disadattata e problematica ragazza che dopo aver fatto a pezzi la sua vita sconta la pena per omicidio (con l’ombra del dubbio) in uno squallido penitenziario tedesco. In “Quattro minuti”, proprio quelli finali del film, Jennifer ci trascinerà in un vortice di sregolatezza e di genialità pura. Ci sconvolgerà con la sua bravura e con la sua rabbia, ce la farà sentire attraverso i tasti del pianoforte. Ci farà precipitare nell’inferno della sua vita in un crescendo di suoni che gridano tutto il suo dolore, la sua disperazione, la sua emarginazione: una rabbia implosa che diventa esplosiva e drammaticamente palpabile, un’elettricità che passando per le dita si traduce in un grido straziante dell’anima trasportato sulle note fortissime e squassanti della musica nera. Non a caso Jennifer, che è lì sul palcoscenico per esibirsi come concorrente in una competizione, l’ha sostituita d’istinto al brano di repertorio classico designato in precedenza. La musica nera è quella che predilige perché meglio di qualsiasi altra la rappresenta; la suona per esprimere la sua protesta, per mettere a nudo il suo stato d’animo. Per tradizione culturale-etnica quella musica significa ribellione, sfida, conquista della libertà degli schiavi neri d’America e la scelta della ragazza è una scelta di appartenenza. È un messaggio chiaro e sferzante che, affidato a quei pochi minuti, arriva con la forza e la violenza di uno schiaffo. La crudezza della vita e le angherie patite, Jennifer, non le potrebbe spiegare meglio; lo capisce per prima la sua maestra di pianoforte che ama la musica classica tanto quanto odia quel genere di musica così lontano dal suo modo di essere. Jennifer è in quella musica, Jennifer è quella musica. Quei quattro minuti sconvolgenti le sono serviti per sbaragliare gli altri concorrenti e per raccontare se stessa in maniera forte e lacerante strappandosi l’anima. Sarà un trionfo anche se dopo dovrà tornare in carcere. La “sua” musica la farà sentire libera anche quando la suonerà con le manette ai polsi. Le mura grigie e opprimenti della prigione non esisteranno più, il suo spirito artistico e la sua forza vitale le faranno crollare. Quelli vissuti da Jennifer sul palcoscenico sono i quattro minuti più importanti e incisivi del film che, intenzionalmente, è così titolato. Il resto è contorno, anche se necessario per fare da impalcatura alla storia; una storia di dolore, di vita distrutta e di autentico talento. Un penitenziario, il carcere femminile di Lackau in Germania; una severa maestra di pianoforte, l’ottantenne Traude che, portandosi dietro dolenti ricordi e scomode verità legati alle SS, in quel penitenziario insegna a ladre spacciatrici e assassine; una giovane allieva ribelle, violenta e geniale prediletta per il talento e perché abbandonata da tutto e da tutti; un bellissimo pianoforte, danneggiato da trasloco in carcere ma custodito come un oggetto prezioso, che si anima, prende vita sotto le dita straordinarie e ispirate di quella allieva. E poi l’amicizia tra le due donne nonostante le diversità e le difficoltà del regime carcerario. Lì dentro tutto è oscuro, tetro e deprimente, solo la musica vince le paure e riesce a lenire l’angoscia che soffoca ogni cosa. E lei che prende per mano Jennifer, la fa respirare, la fa sentire persona, finalmente un essere umano che vibra con tutte le sue passioni conflittuali. Stupisce la bravura di Monica Bleibtreu, perfetta e ispirata nei panni di Jennifer, un personaggio dalla complessità psicologica profonda. L’attrice commuove e convince a tutto tondo. Eccellente Hannah Hertzsprung nel ruolo non facile dell’anziana maestra di pianoforte. Ottima la sceneggiatura, efficace il montaggio, scenografia scarna, essenziale e appropriata, colore e luce ben dosati. Un applauso va al regista Chris Kraus: ha firmato un film coraggioso e bellissimo che lascia il segno.

Ester Carbone


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