GLI AMICI DEI NEGRI
Un libro scioccante. Sedici capitoli, sedici barattoli di vermi scoperchiati su un passato di miserie, di ignoranza, di persecuzioni. Muovendosi attraverso luoghi ed epoche diverse, utilizzando una grande mole di documenti - libri, giornali, epistolari, raccolte di fotografie - questo libro traccia un quadro sconvolgente di cosa è significato per lunghi secoli essere italiani espatriati all’estero. Di cosa gli stranieri hanno visto e scritto e pensato dell’Italia e degli italiani. I pregiudizi degli stranieri si intrecciano indissolubilmente con la effettiva arretratezza della parte più povera della nostra gente, quella che già dalla fine del XVIII secolo, ma fino agli albori degli anni ’60, è stata costretta a emigrare, legalmente o meno.
Dal 1871 fino al 1961 - meno di un secolo – circa venticinque milioni di espatriati, per un paese che conta oggi circa sessanta milioni di abitanti.
Dietro all’immigrazione, la spaventosa condizione di povertà nel nostro paese: il 78% di analfabeti in Italia nel 1861, ma ancora il 35% nel 1931, e l’8.3 % - poco meno di uno su dieci - nel 1961. Il 48% di case senza acqua corrente nel Veneto nel 1961. Appena qualche numero nelle appendici del libro, per dettagliare una storia che oggi appare inimmaginabile, appartenente più a un romanzo del terrore che a una realtà di solo qualche decennio fa.
Gli italiani miseri e decadenti raccontati da autori famosi come De Sade, Byron, Mark Twain e addirittura Sartre, che ancora nel 1936 definiva Napoli “città sifilitica”, diventavano all’estero gli italiani “amici dei negri”, mafiosi, adoratori di idoli e statuine, raccontati dai giornali stranieri. Un popolo disperato, costretto a vendere le proprie donne, ad affittare come schiavi i propri bimbi nelle fabbriche francesi o tedesche, a massacrarsi di lavoro giù per i cunicoli sotterranei delle miniere belghe o australiane. Costretti a vivere a dozzine per stanza, senza servizi igienici, a volte dividendosi lo steso letto in due turni: giorno e notte.
Racconti agghiaccianti, storie dimenticate, che molti delle generazioni più giovani non conoscono più neanche per sentito raccontare. Genti abbandonate dalla patria anche solo nel ricordo.
Così, all’improvviso, diventa comprensibile l’ostilità che i vecchi emigranti italiani a New York lasciano trasparire verso gli italiani “ricchi” (per i loro standard), che arrivano in America per turismo o per studiare ai giorni nostri. Se questi giovani sanno abbastanza inglese da cogliere le battute sprezzanti. Capitò a me dieci anni fa, entrando in un negozio nella Little Italy di New York. Quando chiesi perchè, un amico mi disse: “Odiano l’Italia, l’Italia non gli ha dato niente.”
Ad ogni passo, l’autore sottolinea la similitudine tra quella che è stata la vita della nostra gente nei paesi stranieri, dal Belgio all’Australia, dalla Francia all’America, con la miseria e le ostilità che subiscono oggi da parte nostra gli extracomunitari costretti a cercare lavoro nel nostro paese.
Questo è un libro che va letto. Questo è un libro che lascia lì a pensare, parecchio dopo averlo letto.
E allora, di contro all’istintiva ostilità e timore che molti di noi covano contro i nostri immigrati, sarebbe giusto invece sentirsi orgogliosi dell’epiteto sprezzante che ci attribuivano un tempo negli stati dell’america del sud: “Italiani amici dei negri”.
Marta Baiocchi |
Descrizione |
Quando gli "albanesi" eravamo noi, ci linciavano perché rubavamo il lavoro o facevamo i crumiri, ci proibivano di mandare i figli alle scuole dei bianchi in Louisiana, ci consideravano "non visibilmente negri" nelle sentenze in Alabama. Quando gli "albanesi" eravamo noi, truffavamo mezza Europa raccogliendo soldi per riscattare inesistenti ostaggi dei saraceni, vendevamo i nostri bambini agli sfruttatori assassini delle vetrerie francesi e agli orchi girovaghi, gestivamo la tratta delle bianche riempiendo di donne nostre anche dodicenni i bordelli di tutto il mondo. Quando gli "albanesi" eravamo noi, espatriavamo clandestini a centinaia di migliaia oltre le Alpi e gli oceani, seminavamo il terrore anarchico ammazzando capi di stato e poveri passanti, dormivamo a turno in quattro nello stesso fetido letto ed eravamo così sporchi che a Basilea ci era interdetta la sala d'aspetto di terza classe. Quando gli "albanesi" eravamo noi, ci accusavano di essere tutti criminali, ci rinfacciavano di avere esportato la mafia e ci ricordavano che quasi la metà dei detenuti stranieri di New York era italiana. Quando gli "albanesi" eravamo noi, ci pesavano addosso secoli di fame, ignoranza, stereotipi infamanti. Quando gli "albanesi" eravamo noi, era solo ieri. Tanto che in Svizzera pochi anni fa tenevamo ancora trentamila figli nascosti che frequentavano scuole illegali perché ai papà non era consentito portarsi dietro la famiglia. |