Zhang Yimou ha sempre sostenuto che “l’elemento più importante di ogni pellicola è la storia” e che “l’azione è solo un mezzo per raccontarla”. Ne “La città proibita” di azione ce ne è tanta un po’ alla maniera di “Hero” e de “La foresta dei pugnali volanti” opere precedenti del regista. Le coreografie secondo il genere wuxia sono ad effetto moltiplicatore con il risultato che su set enormi si muove un numero incalcolabile di personaggi tra mischie e battaglie spettacolari, luccichii di armature dorate mescolate al rosso del sangue che scorre a fiumi in mezzo al fragore della guerra. Tutto si svolge intorno e dentro alla città proibita nel X secolo durante la dinastia Tang quando la Cina raggiunse il suo splendore più alto. Ma di quella civiltà si racconta poco nella pellicola se non nella sontuosità del palazzo imperiale. Nel film si narra di una tragedia familiare a corte, di intrighi, di potere e di vendette, di conflitti umani che sovrastano quelli fisici. È la storia di un complotto familiare tra silenzi penetranti, ossessioni per crisantemi dorati e crudeltà sottili che mettono a nudo l’anima dei personaggi. E intanto vengono a galla verità nascoste, vecchi traumi, amori traditi e relazioni proibite. Il dramma intimo tra le mura dorate della reggia si costruisce e prende forma sul duello tra l’imperatore della Cina (Chow Yun Fat) tornato dopo anni di assenza e la bellissima imperatrice (Gong Li) che il marito, in segreto, sta lentamente avvelenando. La donna, accortasi dell’intrigo, prepara la vendetta e organizza una congiura costringendo i tre eredi a prendere posizione. Il colpo di stato scoppia la notte dei crisantemi, una festa antichissima così denominata perché si associa al giallo di quei fiori e al doppio Yang, energia positiva e virilità. Durante la cruentissima e violenta battaglia che si combatte all’esterno, all’interno del palazzo vengono svelati i terribili segreti della famiglia imperiale che culmineranno nella tragedia finale. È innegabile che Zhang Yimou, nella costruzione di questa storia, abbia attinto a piene mani da Shakespeare e non solo. Si spazia da “Re Lear” a “Macbeth” e non mancano spruzzate sofoclee e del suo “Edipo re”. Gli sviluppi delle vicende dei personaggi percorrono sentieri già battuti e gli stessi duelli dei protagonisti ritmati da intrighi, segreti incestuosi e ricatti sentimentali specchiano in pieno l’autore elisabettiano e il tragediografo greco: stessa profondità e crudeltà. Per quanto riguarda la spettacolarità e l’opulenza delle battaglie il richiamo al grande Kurosawa risulta evidente. Ciò che affascina del film di Yimou è invece la composizione visiva. Una fantasmagoria di colori e luci da lasciare senza fiato, una fotografia bellissima, coreografie e costumi strabilianti. Film sontuoso dunque, scenografia scintillante quasi a significare che tutto quell’oro e quella giada splendono per coprire il marcio e la decadenza interiore dei personaggi, come dire dietro un’immagine meravigliosa si nasconde una realtà oscura e spaventosa. Il molto sfarzo però si traduce in poco sforzo nella ricostruzione del periodo storico, l’interesse del regista è esclusivamente concentrato sul dramma familiare. Il lento avvelenamento dell’imperatrice richiama alla mente un altro famoso avvelenamento di hitchcockiana memoria, quello della Bergman in “Notorius”; anche lei subiva la stessa sorte per mano del marito con un caffè quotidiano corretto al veleno. Per chi ha voglia di ricercare qualcosa di più, nel film si colgono qua e là messaggi di natura politica. Yimou essendo dissidente esprime il suo punto di vista manifestandolo non più apertamente ma in forma larvata. Basta saper guardare e sotto la copertura si intravedono richiami sulla situazione politica attuale in Cina nonché la sua insofferenza. Chow Yun Fat è bravo nel ruolo dell’imperatore, ma è Gong Li la vera star. Splendida nella sua bellezza regale, magnifica e superba nelle vesti dell’imperatrice, la sua espressività drammatica raggiunge livelli altissimi perché tocca tutti i registri emotivi. Gong Li, che per vari anni è stata la compagna di vita del regista è da sempre la sua musa ispiratrice, la colonna portante femminile dei suoi film. È lei che si incastona come una pietra preziosa nella composizione visiva rendendola ancora più strepitosa. Ma tutto questo anche se è tanto non basta. “La città proibita” pur riempiendo gli occhi presenta qualche lacuna. Si rimpiange la profondità, l’eleganza, l’estro, la forza dirompente, la creatività innovativa di “Lanterne rosse”, film-teatro per eccellenza. Quello di oggi non è lo Zhang Yimou ispirato di allora; sarebbe auspicabile un suo ritorno alle origini. La sua “Città proibita” è un film sontuoso, spettacolare, impressionante ma “Lanterne rosse” è un'altra cosa, come dire il Cervino e L’Everest. Quello sì che rimane un capolavoro.
Ester Carbone
La citta' proibita
Titolo
originale
Curse of the Golden Flower
Nazione
Hong Kong, Cina, 2007
Genere
Drammatico
Durata
114 minuti
Regia
Yimou Zhang
Cast
Chow Yun Fatt, Gong Li, Jay Chou, Ye Liu, Qin Junjie, Man Li, Dahong Ni
Trama:
Cina, tarda dinastia Tang, decimo secolo. Alla vigilia delle festività del Chong Yang, l'imperatore ritorna inaspettatamente a casa assieme al suo secondogenito, il principe Jai. La ragione ufficiale è quella di celebrare le festività con la sua famiglia, ma considerando i rapporti freddi che intercorrono tra lui e l' imperatrice questa sembra soltanto una scusa. Per anni,infatti, l'imperatrice e il principe ereditario Wan, il suo figliastro, hanno avuto una relazione, ma ora, sentendosi in trappola, il principe Wan sogna di scappare con il suo amore segreto Chan, la figlia del dottore imperiale.
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