XXI GENERATION - UNA GENERAZIONE IN BILICO
In che direzione sta andando l’arte contemporanea?
Cosa pensano della nostra società gli artisti delle ultime generazioni?
A queste domande tenta di dare una risposta il MAXXI, il museo delle Arti del XXI secolo, con una mostra dal titolo volutamente provocatorio: “Apocalittici e Integrati”.
Il titolo è preso in prestito dal libro cult di Umberto Eco, “Apocalittici e Integrati”, appunto, del 1964.
L’autore, in un periodo di trasformazione sociale dovuta al boom economico, individua due precisi atteggiamenti e due distinte categorie: gli Apocalittici, ovvero coloro che, con velata tristezza, malinconia e pessimismo ipocondriaco, guardano al futuro e alle nuove tecnologie; gli Integrati, coloro che, con ottimismo ed euforia, assistono fiduciosi al cambiamento sociale.
Ora i 24 artisti presenti al MAXXI sono tutti nati a partire dal 1964, e sono dunque figli di quella generazione così caratterizzata da Eco.
Ma chi è ora, fra questi giovani artisti, apocalittico e chi è integrato?
Nessuno prende una posizione netta, ma sono tutti, a differenza dei loro genitori, un po’ l’uno e un po’ l’altro.
E il titolo della mostra diventa allora solo un pretesto per mettere insieme questi interessanti artisti trentenni, per osservarne più da vicino la creatività, per giocare a capire chi, più degli altri, tiene “il piede in due scarpe”.
Come Francesco De Grandi, che evoca la fantascienza, ma sceglie la tradizionale pittura ad olio per realizzare il “Bottiglione”, una sorta di alieno che si aggira in una verde landa desolata.
Come Simone Berti, che affronta il tema della crisalide-farfalla, sia con le installazioni, sia con la pittura, o come Pierpaolo Campanini, di chiara matrice surrealista, che dipinge spaventosi grovigli tecnologici con classica perfezione, restituendo immagini rassicuranti e piacevoli da vedere.
E mentre tradizionali quadri a parete si alternano a video box illuminati, come quelli di Sarah Ciracì, che raccontano in chiave tragicomica lo sbarco degli extraterrestri, sul filo della memoria corrono le inquietanti foto di Diego Perrone, “I pensatori di buchi”, animate da un cupo catastrofismo.
E sempre memoria, nella suggestiva installazione di Andrea Mastrovito, costruita in una cavità al buio, dove una luce al neon fa emergere, dai tagli di una tela nera, i celebri disegni de’ “I disastri della guerra”, di Goya. Ma anche quest’artista non si schiera, rimanendo in bilico, tra rivisitazione del passato e innovazione.
E non convince, neppure, la ludica apertura verso il mondo di Patrick Tuttofuoco, con le sue “bycircle”, biciclette sculture, simili a dei risciò, umanizzate dall’artista al punto di avere dei nomi, “Yuko” e “Natasha”, apparentemente a disposizione del pubblico per una pedalata nel museo (!), ma che, nella realtà, non si possono adoperare.
Un percorso espositivo di 80 opere, per porsi, alla fine, sempre la stessa domanda tormentone:
Apocalittico? Integrato? Né l’uno, né l’altro, un po’ tutti e due.
Quella che è certa è soltanto un’instabilità di sentimenti, un’ambiguità ed uno smarrimento tipici del nostro tempo, che ci porta ad essere un giorno utopista e il giorno dopo disfattista.
Simona Rasulo |