whiteout
Dai gloriosi tempi dei Pussy Galore, Christina
Martienz è cresciuta all'ombra del marito, Jon Spencer
e della sua Blues Explosion, incarnando la vestale di un
rock figlio della Southern Armony ed imbastardito dalla
tensione del punk. Finalmente in Whiteout si rivela molto
più autonoma e leader carismatico di una band che
a tutti gli effetti è riflesso della sua indole aggressiva
e battagliera.
I Boss Hog non si discostano troppo nella loro terza prova
dalle atmosfere del debutto - Drinkin', Lechin' and Lyin'
- ma saggiamente si affidano alla produzione di due veterani
come Andy Gill e Tore Johansson per approdare a sonorità
più elettroniche che ricordano in molti momenti una
versione più sporca dei Garbage.
Whiteout risulta all'ascolto fra i lavori più omogenei
della band e - di conseguenza - di più facile approccio
concedendosi una morbidezza che farà sicuramente
storcere il naso ai puristi del genere. Ma è davvero
un giudizio immeritato nei confronti di una band coraggiosa
e coerente che ha saputo crescere mantenendo ben chiara
una sua identità.
Marchio di fabbrica è la voce abrasiva di Christina,
ossessiva e minacciosa in "Nursery Rhyme" - omaggio
al capolavoro dei Genesis - algida in "Stereolight",
ammicante alla Blondie "Get It While You Wait".
Ottima la title track con il ritornello esplosivo"“I
was born to see the liiiiiiiiight!", mentre in "Jaguar"
troviamo il brano più anomalo della band con una
virata decisa nel pop elettronico, più tradizionale
e collaudato è invece il groove di "Itchy and
Scratchy". Nella finale "Monkey" troviamo
la prova milgiore da vocalist di Christina, peccato non
sia supportata da testi all'altezza delle sue capacità.
F in qui la band ha avuto coraggio e si è liberta
dall'etichetta di Side Project di Jon Spencer speriamo non
abbia intonato un ultimo canto del cigno...
MDM
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