CHOCOLATL
primo capitolo
PROLOGO
Quando Zacatenco, ormai allo stremo, piegò lo sguardo
sconfitto e conficcò la tagliente lama di ossidiana
nella terra gialla ai piedi di Montezuma, re del popolo
mexicos, cadeva la seconda luna del terzo mese dell’anno
ce-ocelotl ed il sole, nascosto dietro nuvole più
minacciose e più grigie delle ali di un avvoltoio,
si sciolse in un pianto incontenibile.
Come suo padre, e come suo nonno, Zacatenco era stato il
cacicco di Painala, città del popolo Tlaxcalateco,
governatore delle sue incantevoli terre: dalle montagne
azzurre dei guerrieri giaguaro ai due fiumi che, per volere
del cielo, disegnavano il confine naturale del territorio
della sua gente fino al vasto mare.
Quello stesso mare dove, indifferente e guardando l’oriente,
era scomparso anni prima Quetzalcoatl, il dio serpente piumato,
il dio fattosi uomo barbuto, il dio dalla pelle chiara come
latte, il dio sconfitto e perduto che sarebbe tornato, al
fianco del suo popolo, solo all’avvento dell’anno
ce-acatl.
MALINALLI
In ombra, discosta dalle altre ragazze, dalle altre schiave
della famiglia delle mogli di Put, con le ginocchia immerse
nelle acque opache del sacro lago, sta la bellissima Malinalli
che intreccia fiori d’ibisco ai lunghi capelli.
Non parla da sola nella sua incomprensibile lingua ma prega
Xipe, il dio delle sementi e delle piantagioni, lo prega
di essere prodigo di caca-hutl per quell’anno, perché
lei sa che quell’anno il suo destino si sarebbe compiuto
e che molta, molta bevanda che fa forte il dio, per colui
che torna e i suoi fratelli, dovrà preparare.
Malinalli, sorriso che incanta, solo lei, la bambina che
parla con dio, strappata dalle braccia delle donne nella
casa del padre dai terribili guerrieri rossopiumati, sotto
un cielo d’acqua torrenziale nell’atterrita
Painala, con il corpo di Zacatenco, suo padre, squartato
e appeso nel tempio di Xipe, solo lei, quella che vede,
sa.
Venduta come schiava dallo sprezzante Montezuma a quelli
di Xalisco e, da questi, rivenduta alla sconosciuta gente
di Tabasco e poi finita nella casa di Put il grassone, il
commerciante di mais e di maiali, l’arrendevole, il
corrotto, il bestemmiatore Put, lei, Malinalli, quella che
Xipe prega, mai ha smesso di contare le lune e le rincorse
del sole, lei sola, a Tabasco, sa che domani verrà
l’alba del primo giorno dell’anno atteso, dell’anno
del giunco, del ce-acatl.
IL CONSIGLIO
Tentiamo, dice risoluto Gonzalo de Sandoval, dobbiamo assolutamente
recuperare quegli uomini, i Castillano, quegli sventurati,
i Castelliano, o come diavolo sono chiamati dagli indigeni,
dagli indios delle paludi, da quelli che sono giorni che
cerchiamo di interrogare invano.
Saranno naufraghi, signor capitano generale, finiti qui
chissà come.
Ma se è come credo, dice il giovane Gonzalo mentre
cerca, con occhi febbricitanti, lo sguardo lontano di Hernán,
fra non molto vi si presenterà l’opportunità
che ad altri, avventuratisi prima di voi per queste terre
ignote, era mancata: la parola.
La parola, signor capitano generale, la possibilità
di capire, di indagare, di fare commercio e conoscenza.
Vittime del mare, di una tempesta o della mala sorte, quegli
uomini dimenticati vivono, non si sa da quanto tempo, a
contatto con le genti di queste coste. Affidate, dunque,
agli indigeni che abbiamo catturato messaggi scritti da
recapitare a quei Castillano, segnalate che siamo qui, in
attesa, pronti a riceverli, a soccorrerli.
Qualcuno verrà e vi sarà finalmente svelata
la lingua degli indios e ... il vostro genio già
m’intende, signor capitano generale, quel mistero
che circonda voi, e tutti noi: uomini, armi e cavalli, quel
mistero che ci protegge, potrà continuare a durare.
Il giovane e intraprendente Gonzalo, che è ancora
sulla soglia della cabina di comando, quasi nel buio, si
avvicina malcerto, a gambe divaricate, barcollando su un
logoro tappeto verde, in direzione del tavolo, delle carte,
del lume, del viso asciutto, del fermo sguardo di Hernán
che era stato incautamente interrotto mentre si sforzava
di immaginare il rapporto che doveva scrivere a re Carlo
per difendersi dalle ignobili accuse di quella serpe, di
quel vile di Diego de Velàzquez, del signor figliodiputtana
governatore di Cuba.
Non vi è certamente sfuggito, o valoroso Cortés,
il timore che la sola nostra comparsa ha suscitato nei loro
cuori ingenui e il modo in cui, anche adesso, ci guardano:
ora spaventati ora incantati, poi come rapiti... poi increduli.
Inaspettatamente, la voce e i modi, sempre deferenti, del
giovane, intraprendente Gonzalo de Sandoval, oltre che arguti,
appaiono quasi confidenziali alle orecchie del compiaciuto
capitano generale Hernán Cortés, nato a Medellin,
studente della famosa università di Salamanca, giunto
nel nuovo mondo perché predestinato, e che, in fondo,
di questo giovanotto intelligente e sveglio si fida.
Cinque giorni dopo, il 14 febbraio 1519,
Jerònimo de Aguilar, naufragato otto anni prima su
quelle coste paludose aggrappato ad un pezzo dell’albero
della Santa Esmeralda, si presentò a Hernán
Cortés, trasportato su una canoa gialla spinta da
due tatuati e sorridenti uomini del popolo della costa.
CHOCOLATL
di Marco Fabiano
fine primo capitolo
segue …. |