Mediterranea

IL GRANDE CAP(R)O ESPIATORIO

Regista inquieto, controverso e fuori da ogni schema convenzionale Lars von Trier ha sempre amato stupire con storie e personaggi stravaganti e poetici che vanno oltre il razionale. Di indiscusso talento, ha il merito di aver confezionato un vestito nuovo a un certo tipo di cinema che andava languendo in forme banali e anonime. Ora il regista danese è tornato a far parlare di sé con “Il grande capo”, non per raccontare l’epilogo della trilogia americana, bensì per divertirsi a stuzzicare il pubblico con una commedia graffiante e surreale che ironizza sulle crudeli e perverse dinamiche che possono avvenire negli ambienti di lavoro. Come può un proprietario di azienda sfruttare, derubare, ingannare i propri dipendenti, e vendere l’attività a un cinico businessman islandese pronto a licenziarli, riuscendo, nonostante tutto, a mantenere il rispetto, la fiducia e la stima degli impiegati beffati, nonché la propria coscienza intatta? Semplice: fingendo di essere un umile portavoce di un fantomatico Grande Capo, interpretato da un attore da lui stesso ingaggiato per firmare il contratto per la cessione dell’azienda, che diventa il capro espiatorio su cui tutti cominciano a riversare le proprie frustrazioni, perché considerato la causa di tutte le ingiustizie subite. Ma se l’attore finisce per entrare troppo nel personaggio allora sono guai! La faccenda si complica e la situazione sfugge di mano fino a diventare assurda e paradossale, proprio come le surreali interpretazioni di Antonio Gambini (tanto amato da quello che tutti credono essere il Grande Capo): il confine tra finzione e realtà diviene a questo punto così impalpabile da far sentire lo spettatore e i personaggi stessi completamente spiazzati. Del resto il regista danese gioca per tutto il film a provocare, sorprendere e disorientare attori e pubblico, sia attraverso frequenti intromissioni in cui von Trier si rivolge direttamente agli spettatori, sia soprattutto attraverso una nuova tecnica, che va oltre il Dogma, detta Automavision: essa consiste nell’utilizzo di una macchina da presa fissa, mossa unicamente da un computer. Tutto questo, se riesce a suscitare ammirazione in una parte del pubblico, risulta però disturbante all’altra metà degli spettatori che si sente infastidita dalle arditezze tecniche, dalle imperfezioni delle inquadrature e dalla frantumazione temporale del montaggio. Ma chi decide di andare a vedere un film di Lars von Trier è consapevole di ciò a cui va incontro: il suo stile di regia, pur essendo in continua evoluzione, è sempre insolito, provocatorio e spiazzante; i suoi film, commedie o drammi che siano, sono sempre destinati a far discutere. Insomma il suo è un cinema anticonformista, sorprendente e sconcertante, in ogni caso pieno di fascino e Lars, come tutti i talenti discussi e un po’ enigmatici, non sfugge a quello che sembra essere il destino degli “illuminati”: o li si ama o li si odia. Comunque sia, come dimostra anche “Il grande capo”, meglio essere odiati per quello che si è, piuttosto che essere amati per quello che non si è. E Lars von Trier è quello che ha deciso di essere: se stesso, il cineasta danese ribelle e geniale.

Ester Carbone

Il grande capo

Titolo originale
Direktøren for det hele
Nazione
Danimarca, Svezia 2006
Genere
Commedia
Durata
99' minuti
Regia
Lars von Trier
Cast
Benedikt Erlingsson, Iben Hjejle, Anders Hove, Jens Albinus, Jean-Marc Barr, Casper Christensen, Peter Gantzler
web

http://www.luckyred.it/ilgrandecapo/

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