TROPPO
BELLO PER ESSERE VERO
Questo era il titolo dell’autobiografia
di un falsario inglese che viveva a Roma – Eric Hebborn
– autore nell’anno successivo (1995) anche di
un altro libro, Manuale del falsario. Poi non scrisse altro,
perché morì in circostanze poco chiare, ufficialmente
battendo la testa in un vicolo di Trastevere. E proprio
a lui pensavo quando ho letto le polemiche nate sul papiro
di Artemidoro, che ora i filologi ritengono essere un falso.
Per chi non avesse seguito la vicenda: il papiro, miracolosamente
segnalato alla fine degli anni ’90, era stato comprato
da una grande banca torinese al prezzo di 2.750.000 euro,
intascati da un antiquario armeno di Amburgo. Esposto a
Torino con il titolo Le tre vite del papiro di Artemidoro,
è stato al centro di una prestigiosa mostra completa
di catalogo. Proprio dal catalogo veniamo a sapere delle
tre vite del papiro: prima usato per scrivere il testo di
un manuale di geografia del I sec. A.C., poi come campionario
grafico di modelli di statuaria, poi ancora da un'altra
bottega di artista specializzata in uccelli. Dopo tre secoli
di riutilizzo, fu usato in seguito come riempitivo di una
mummia. Ritrovato fortunosamente da un intermediario di
alto bordo una decina di anni fa, è stato proposto
agli studiosi ma soprattutto a musei e fondazioni. E una
volta acquisito, è stato immediatamente al centro
del gran circo mediatico che accompagna le grandi mostre,
senza aspettare – e questo è grave –
la pubblicazione di tutte le analisi scientifiche e accademiche
che dovrebbero accompagnare i reperti archeologici. Ora
che la serrata analisi linguistica del grecista Luciano
Canfora ha dimostrato la falsità del reperto e anche
la sua vera storia, scorrere le pagine del voluminoso catalogo
è anche divertente: i curatori si meravigliano dell’eccezionalità
del documento, dimenticandosi che una caratteristica principale
del falso è sempre la sua storia misteriosa. Dei
quadri famosi possiamo seguire tutti i passaggi di proprietà;
il falso sembra sempre uscire dal buio. In più, il
falso è spesso eccessivo, sovraccarico: forse anche
per un papiro tre vite son troppe. L’unicità
assoluta di un reperto è sempre un dato su cui riflettere,
al punto che personalmente dubito dell’autenticità
di un altro strano oggetto antico, il Disco di Festos conservato
nel museo di Creta: indecifrato, scritto in una lingua misteriosa,
è unico, affascinante, perfetto, ma proprio per questo
andrebbero meglio chiarite le circostanze del suo ritrovamento.
In più, le sue interpretazioni sono numerose quanto
cervellotiche.
Intendiamoci, il falso d’arte è sempre esistito,
almeno da quando i collezionisti pagano bene. I musei americani
sono pieni di opere acquistate a suo tempo dai colleghi
di zio Paperone, ricchi quanto incolti, ma ansiosi di creare
musei degni della vecchia Europa, e per questo vittime della
nota triade: il falsario, l’antiquario e l’intermediario.
Quest’ultimo poteva essere un avventuriero, come quel
greco Simonidis che pare sia l’autore del falso papiro
di Artemidoro; ma poteva essere anche uno stimato esperto,
autorevole nel suo campo, quanto pronto a firmare certificati
di autenticità in cambio di uno sconto sottobanco
su un’opera d’arte minore, oppure, caso inverso,
a sottostimare un’opera d’arte pur di ottenere
il visto per la sua esportazione. E’ noto che la famiglia
del noto storico dell’arte Berenson comprò
tutte le copie in inglese delle memorie di un falsario italiano
per distruggerle. Meno noto è che ogni tanto dagli
archivi di Stato escono fuori documenti che attestano a
distanza di anni le leggerezze di alcuni funzionari, all’epoca
addetti al rilascio dei visti per l’esportazione.
La prima legge organica sulla tutela delle opere d’arte
in Italia risale infatti al 1939, mentre il periodo d’oro
del mercato d’arte è quello a cavallo dei due
secoli scorsi.
Quello che è cambiato nel frattempo è il contesto
in cui l’opera d’arte viene esposta. La civiltà
dello spettacolo ha ormai inserito l’archeologia nel
giro delle grandi mostre, la televisione ne segue le inaugurazioni,
gli sponsor e gli editori si danno da fare e i critici d’arte
sanno ormai presentarsi al pubblico. Questo ha finalmente
spostato sulla cultura d’arte investimenti prima impensabili
e ha stimolato in milioni di persone l’interesse per
l’arte e per l’archeologia. Ma la fretta può
fare brutti scherzi, come ai tempi delle false teste di
Modiglioni. Ma quella era solo una burla toscana.
Marco Pasquali
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