la
belle etranger
Nulla è come sembra nella città
degli angeli, universo cupo e popolato di antieroi, la città
stessa è costruita su fodamenta marciscenti, solo
le lacrime degli sconfitti sono vere. Lo sa bene Bucky,
Mister Ghiaccio, ex pugile messo al tappeto dalla vita e
voce narrante della trasposizione cinematografica del romanzo
intimamente biografico di James Ellroy.
A lanciargli un salvagente è un altro ex pugile,
Lee, Mister Fuoco ridondante e spaccone, più o meno
accasato con Kay raffinata e platinata fidanzata con un
passato di orrore che aspetta di emergere.
Fra boulevard sciamanti starlettes, personaggi dalla sessualità
più o meno confusa (bellissimo in questo senso il
cameo di KD Lang) e polizia al soldo del potente di turno
si decide il destino di Betty, un eccezionale Mia Kirshner,
la Dalia, vestita di nero, gli occhi pieni di speranza,
che gioca con le calze rotte mentre incassa l'ennesimo rifiuto
e si finge allegra mentre le lacrime le rigano le guancie.
La ritroveranno Mister Ghiaccio e Mister Fuoco abbandonata
in un campo come una bambola rotta, in uno dei piani sequenza
più belli mai visti al cinema. La ricerca dell'assassino
si trasformerà per entrambi in'ossessione, un amore
necrofilo per la Dalia Nera che Lee chiama "la nostra
ragazza", mentre Bucky la cercherà nella cupa
morbosità di Madeleine, giovane ed eccentrica ereditiera
- soprattutto - sosia della Dalia.
Portare sullo schermo le pagine dolenti ed amare di Ellroy
non è impresa da poco e, come nel caso di L.A.Confidential,
è la forza evocativa del suo modo narrare a distinguerne
lo stile e farne allo stesso tempo la sfortuna cinematografica.
in più si aggiunga che il caso - vero - della Dalia
Nera rappresenta nella sua ferocia l'icona dell'altra faccia
di Hollywood, quella della carne da cannone: stuoli di aspiranti
stelline bruciate e dimenticate.
De Palma, pur regalando momenti di grandisssimo cinema,
è discontinuo e in un certo senso sembra afflitto
dallo stesso morbo che lo colse quando girò "Femme
fatale"o "Mission to Mars". Offre il fianco
alle critiche nella scelta del quartetto di interpreti e
in alcune soluzioni troppo frettolose della sceneggiattura,
al punto da rendere necessaria la voce narrante per spiegare
l'intreccio al pubblico. Dei quattro interpreti solo Eckart
riesce a creare il personaggio, Hartnett dal canto suo ci
mette la faccia da bravo ragazzo ferito dalla vita, ma non
molto altro e il suo è il ruolo cardine senza il
quale non si crea il legame fra i personaggi e quindi fra
le storie parallele della Dalia Nera e il polizziotto corrotto.
La Johansson, passatemi la sincerità, è semplicemente
insopportabile e scimmiotta in modo fantozziano una vera
dark lady come Jessica Lange ne "Il postino suona sempre
due volte", Hilary Swank è come sempre brava,
ma non è assolutamente nella parte, non ha nè
il fisico nè lo sguardo da femme fatale.
I momenti migliori sono in assoluto le apparizioni della
Kirshner: gli squallidi provini in bianco e nero nei quali,
nella versione originale, è lo stesso De Palma a
dare la voce fuori campo del regista. Perfette le sequenze
de "L'uomo che ride" di Paul Leni, film muto del
1928, tratto da "L’homme qui rit" di Victor
Hugo, nel quale si cela la chiave per risolvere l'enigma
della morte di Betty. De Palma si diverte anche a citare
se stesso, ma finisce per confondere lo spettatore, allargando
troppo il prologo e stringendo il cerchio troppo frettolosamente
nel finale.
Rimane senza dubbio un opera estremamente al di sopra della
media, omaggio e summa del genere noir in cui nessuno è
senza macchia, eppure è leggittimo da un mostro sacro
aspettarsi il colpo da maestro che in questo caso è
venuto a mancare.
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