LA
CINA DI AMELIO
“La Cina è vicina” recitava
il titolo di un libro di qualche anno fa, la Cina è
di moda verrebbe da dire adesso; imperversa sugli schermi
(non a caso all’ultimo Festival di Venezia ha vinto
il film cinese di Jia Zhang Ke) ed esercita il suo fascino
sui registi italiani. Anche Gianni Amelio risponde al richiamo
pur rimanendo fedele al suo stile e alle sue tematiche.
Il paese delle lanterne rosse è però qui visto
in una luce ben diversa da quella a cui siamo abituati.
Con la macchina da presa Amelio si muove su sentieri poco
esplorati, scruta aree geografiche lontane e sperdute mettendoci
di fronte a realtà così crude e dure da farci
sentire a disagio sulla poltrona del cinema. Il tema de
“La stella che non c’è”, caro ad
Amelio, è quello del viaggio, che qui è anche
metafora, percorso interiore: il film infatti è il
ritratto di un uomo (interpretato dal bravissimo Sergio
Castellitto) sospeso tra viaggio e ricerca psicologica.
Vincenzo Buonavolontà (nomen omen, il nome è
presagio) è un manutentore di macchinari in una fabbrica
italiana presso cui un’azienda cinese ha acquistato
un altoforno. Ma la macchina è difettosa e Vincenzo,
con la puntigliosità del suo cognome, parte per la
Cina alla ricerca dell’acciaieria, che ha fatto l’acquisto,
con l’intento di aggiustare il macchinario. Ha con
sé il pezzo di ricambio, un giunto, che meticolosamente
ha messo a punto con le proprie mani e, nel viaggio di ricerca,
si fa accompagnare da una ragazza madre cinese che gli fa
da interprete e di cui finirà per innamorarsi. Comincia
così il percorso infernale tra vecchi treni sbuffanti,
stazioni che pullulano di umanità variegata, vu cumprà
invadenti e appiccicosi, battelli grigi su fiumi grigi,
fabbriche con enormi bocche di fuoco, statue imponenti di
Mao. Non mancano strade polverose, lande aride, noiose ciotole
di riso e poi cemento, tanto cemento. Edifici che sembrano
spaventose arnie gigantesche, le stanze come celle, piccoli
buchi stracolmi di stracci mescolati a individui a cui è
negata la dignità dell’uomo. C’è
tanta confusione e squallore da far esclamare a Vincenzo:
“Io la Cina non la immaginavo mica così!”.
E’ una realtà allucinante e oppressiva che
prende allo stomaco; la vita è un brulicare di omini
tutti uguali, ma non è un presepio, fa pensare piuttosto
a un formicaio. La Cina di Amelio è plumbea, fangosa
come i suoi fiumi, è spiazzante. Qui i bambini hanno
gli occhi tristi, sul volto la consapevolezza del peso della
vita. Bambini sfruttati a cui è rubata l’infanzia,
bambini che anche quando sorridono sembrano arrabbiati.
Per gli adulti la vita è omologata, trascorre tra
biciclette e fabbriche, tutti standardizzati, tutti un po’
automi senza la presa di coscienza dell’essere. È
questa la stella che non c’è tra le stelle
della bandiera cinese. È questa la riflessione a
cui giunge Vincenzo alla fine del suo viaggio, inutile per
i tecnici dell’acciaieria dove finalmente il pezzo
di ricambio è approdato (tra risatine ironiche è
gettato via), ma illuminante per lui: il valore della dignità
dell’uomo è inestimabile. Vincenzo piange e
piangendo afferma la sua individualità e la sua umanità,
libera il suo pensiero: la fragilità attiene all’uomo
non agli automi.
Il film più o meno va, inizia bene con autorità,
si sviluppa ancora bene, ma finisce un po’ piatto
in un bagno di sentimento e poesia. Finale deludente per
un viaggio sociologico e analitico.
Ester Carbone
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Titolo
originale: La stella che non c'è
Nazione: Italia, Francia, Svizzera
Anno: 2006
Genere: Drammatico
Durata: 104'
Regia: Gianni Amelio
Sceneggiatura: Umberto Contarello,
Gianni Amelio
Cast: Sergio Castellitto, Wang
Biao, Tai Ling, Hiu Sun Ha, Angelo Costabile, Xu Chungqing
Produzione: Cattleya, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
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