PANE
QUOTIDIANO
- Maria ho fame.
- Io no.
- Ti prego, prepara qualcosa.
Maria non risponde; è seduta e fissa l'ape ferma
sulla fetta di pane. Poi, lentamente, a fatica l'ape si
alza e compie due, tre giri nell'aria e vola via col suo
boccone, una briciola bianca.
Il gatto scatta per fermare quel volo ma lei è già
lontana, irraggiungibile.
Irraggiungibile volo di piccoli esseri. Irraggiungibile
Sudan con le sue miserie.
La bambina, un piccolo essere sfinito, non guarda Maria
dalla foto che l'ha resa celebre a un mondo che non conosce
più fame. Non può guardarla, né Maria
può vedere l'espressione del suo volto: sta lì
rannicchiata sull'arida terra, secca come la sua pelle,
tiene le mani sul volto a coprirsi, a proteggersi dal vento,
dalla tempesta calda, sabbiosa, invincibile.
Le fa compagnia un avvoltoio che aspetta, paziente.
Una sera Marco ha portato a casa quella foto incorniciata.
Per ricordare sempre, ha detto.
- Anche oggi ho incontrato Louise.
- E chi è?, chiede Marco prendendo una fetta di pane.
- Quella del piano di sotto.
- La incontri spesso?
- Sempre, da qualche tempo. Mi ha chiesto se i bambini mangiano.
Certo che mangiano. Anch'io ho sempre mangiato, da bambina
e da grande; lei mi parla della sua bambina che non mangia.
Piange. Uno, due bocconi e poi piange. Louise è sfinita.
- E tu cosa le dici?
- Un giorno le ho detto che forse è colpa sua, è
troppo nervosa. I bambini sono spugne, prendono il bene
e il male. E lei: "quale male?, ha chiesto risentita.
Marco sfoglia il giornale: - L'hai offesa
- Volevo solo aiutarla, dice Maria. Sai, mi succedono delle
cose strane...
- Cosa?, Marco la guarda sospirando.
- Quando mangio, Maria s'interrompe guardando la tovaglia
- hai sbriciolato il pane, quando mangio mi trema la mano.
- Sei nervosa, sorride, come la vicina.
- No, non sono nervosa!, - Non riesco a tenere la forchetta;
mi ci aggrappo e poi la passo da una mano all'altra - s'interrompe
- ma mi ascolti? Marco chiude il giornale e la guarda -
ti ascolto, ti ascolto. Maria sbuffa.
- Allora, continua Marco - poi che succede?
- Non posso vedere gli altri mangiare, dice Maria ad occhi
bassi, mi danno fastidio. Mangiano male. Forse anche io
mangio così.
- Da quando ti succede?
- Non lo so.
- Forse...da quando ho portato la foto?
- Forse.
Marco si avvicina e si siede accanto a lei.
- Sai, ho visto un filmato sul Sudan. Hanno intervistato
il fotografo; ha vinto il premio e ha raccontato la storia
della foto. La bambina camminava a stento, si fermava coprendosi
la faccia con le mani, poi si è accasciata al suolo.
Lui ha fatto la foto, poi è tornato verso la macchina.
C'era un gran vento, quel vento caldo e sabbioso deve essergli
entrato negli occhi, in bocca, fino al cuore. Ha mangiato
un po' di sabbia, ha sentito che sapore ha quella sabbia
africana ed è tornato indietro e ha cacciato l'avvoltoio,
per sentirsi meglio, si sarà sentito senz'altro meglio,
dopo. La bambina era sempre là, immobile e viva.
Che potevo fare, ha detto il fotografo, salvarne uno che
senso ha. Pensavo che l'avesse salvata.
- Allora portala via, Maria alza il tono della voce.
- Non posso, risponde Marco, io amo quella bambina.
Tutte le teglie piene di sugo, di carne tritata,
di lasagne e polpettine, quelle verdure cotte al vapore,
ripassate in padella, gratinate, messe in mostra perché
qualcuno le mangi, in piedi, al bancone o seduto a un tavolino
stretto stretto mentre altri aspettano che ti alzi e ti
fissano il piatto e poi negli occhi, tutto questo straripare
di cibo, di gente, di cose conservate, precotte e colorate
da a Maria una vampata calda alla testa.
Vorrebbe non andare più in quel posto affollato,
pieno di odori che non sono familiari, ma non ne può
fare a meno, segue gli altri che vanno, senza sapere se
ha fame, non sa più riconoscerla.
Un mattina Maria si sveglia presto e prepara
il caffè e lo sorseggia con gusto. E' buono, ha il
profumo del caffè vero di quando era bambina e si
svegliava con quell'odore per casa e sentiva la voce di
sua madre già in piedi da un'ora, sua madre che adesso
telefona e chiede, sempre: - Che avete mangiato?
Quella mattina sorseggiando il caffè Maria guarda
la foto della bambina; la prende, l'accarezza sul vetro.
Si veste. Esce sul pianerottolo. Sono le sei di mattina.
Scende e suona alla porta della vicina. E' una mattina fresca,
silenziosa, nel silenzio rassicurante del condominio dove
conosce tutti, conosce i loro nomi, gli orari, i litigi,
la musica che suonano o ascoltano, le vacanze, quando tornano,
dove lavorano, quante macchine hanno, quali macchine, sente
il motore di una macchina, di quello dell'ultimo piano,
interno 16, sente i passi della vicina che va verso la porta,
le apre e Maria piange.
Piange Maria, con la foto in mano alle sei di mattina e
da la foto alla vicina che resta insonnolita, trasognata,
con gli occhi che chiedono senza dire nulla. La fa entrare,
cos'altro potrebbe fare? E chiude la porta.
L'estate è finita. Resta il caldo, resiste,
durerà ancora molto, dicono tutti.
Il palazzo, per un mese in compagnia delle rose bianche
e rosse e della magnolia al centro del cortile, riprende
la vita di sempre.
I bambini giocano nel cortile, si rincorrono sui pattini,
lanciano la palla, alcuni, i più grandi, arrivano
fino al bar di fronte a comprare i gelati. Sanno che presto
arriverà l'inverno e che la stagione del cortile
dura poco: scandisce l'inizio e la fine della scuola.
All'ora di cena, Maria controlla i minuti per la cottura
della pasta, il gatto le miagola intorno, lei gli avvicina
la ciotola con l'acqua - Hai già mangiato, dice con
una carezza.
Si allontana verso il tavolo e prende una fetta di pane.
Torna indietro e guarda il polpettone sul fuoco, lo scuote
decisa, si è un po' ristretto, basterà, pensa.
Apre il balconcino per fare uscire il gatto, le arrivano
confuse le voci dal piano di sotto; il gatto rientra e si
accomoda sul pavimento. Maria gira la pasta, cadono briciole
sul pavimento, il gatto fa un balzo. Maria assesta ancora
il polpettone. E sente ridere. Sente la risata brillante
e azzurra di una bambina.
Marzia Spinelli |