Lamento
di un quartiere romano
Mi hanno chiamato vecchio. Ma vecchio a chi?
A me che sono il Vermont romano? Non sanno quello che dicono.
Se il nome me lo avessero dato i francesi, che quassù
sono stati di casa, così mi avrebbero chiamato: Vert
Mont, pronunciato con quella ‘r’ arrotondata
che sulla loro bocca suona tanto bene.
Però, a pensarci meglio, per i trasteverini che stanno
di sotto non sarebbe stata altrettanto facile da pronunciare.
Me la immagino la reazione di un paino nello scoprire che
la ragazza che gli piace ci abita:
«Indovè che stai de casa? Ar Vermonte? Sopr’a
la scalinata de Richetto? Me fai venì er flatone
‘gni vorta che te vengo a tròva!»
Beh, non è proprio la stessa cosa.
Mi hanno chiamato vecchio per distinguermi dal nuovo, costruito
nel dopoguerra. Ma io non mi sento affatto vecchio, sono
solo giovane da più tempo.
Sì, è vero che ogni tanto ho qualche piccola
frana, specialmente dalle parti di via Saffi, sotto le mura:
ma quelle, lo sapete, sono antiche. A voi non capita mai
di dover andare dal dentista per delle otturazioni? O di
subire un intervento chirurgico per una messa a punto?
Io ho dei buoni polmoni, villa Sciarra e villa Pamphili.
Il mio cuore pulsa ancora bene. I muscoli delle gambe me
li mantengo in perfetta efficienza salendo ogni giorno tutte
le mie scalinate: scusate se è poco.
Chiamatemi pure annoso, attempato, centenario, longevo,
canuto, venerando, decano, patriarca, veterano, avito, di
antica data, prisco, classico, vetusto o quant’altro,
ma per favore non chiamatemi più vecchio.
Antonietta Tiberia
da "Partendo dalla Sala Infera. Rivelazione di cinque
autori"
ed. Caffè Notegen, 2005
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