QUATTRO PAESAGGISTI IN FOTO
La
realtà paesaggistica è un prisma multiplo
che riflette di sé tante versioni e tante qualità
quanti sono gli occhi che la incontrano. Le dieci foto di
Elger Esser ("Gap d'Antifer-Etretat") ripercorrono
il viaggio letterario e fantastico che Maupassant condusse
per conto del vecchio Flaubert in procinto di scrivere un
romanzo. Il suo obiettivo, quasi come un filtro monocromo,
indaga stratificazioni e sedimentazioni rocciose col gusto
della solitaria, muta monumentalità, degna di un
epigono del Mantegna; un Mantegna "contaminato"
da valori letterari tardoromantici. Lo stesso spirito di
coinvolgimento classicamente emotivo (il paesaggio specchio
dell'anima) è nella ricerca di Carlo Gavazzeni, che
si ispira alle vedute di Roma (quanto di più sfruttato?)
intese però come dipinto crepuscolare, intriso di
tenebre incombenti, nell'incedere forse di una storia millenaria
in decadenza, forse nel presentimento di una notte incipiente
che allevia e opprime nello stesso tempo monumenti stanchi
della loro "eternità". La fotografa americana
Nan Goldin, personalità indiscussa e celebrata dell'arte
contemporanea, usa il suo obiettivo come appendice emotiva
del suo vissuto: ogni istantanea è frammento e "flash"
carpito alla sua percezione immediata; il mondo e le cose
come prepotente e fragile “soggettiva”, testimonianza
dello specchio cangiante che ci riflette.
La fotografa australiana Simryn Gill espone sei scatti della
serie "Standing Still", realizzata tra il 2000
e il 2003 nel sud-est asiatico, ed è paesaggio angoscioso
e desolato: edifici e architetture (da noi si chiamarono
"cattedrali nel deserto") incompiuti e abbandonati,
privi di tracce umane, inquietanti monumenti dell'umano
assurdo e artificioso sovrapporsi al mondo, rovine anzitempo
di moderna arroganza, "dinosauri" desolati e naufragati
nella Natura che tenacemente riprende il suo spazio.
Luigi M. Bruno
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