Il
libro e' un’isola o un continente da scoprire?
E’ inutile dire che la società
sta cambiando, radicalmente e ad una velocità che
lascia stupefatti. Cambia il modo di comunicare informazione.
Internet è una pietra miliare per la cultura del
ventunesimo secolo: le notizie, qualsiasi tipo di notizia,
arriva a noi senza neppure spostarci da casa, senza neanche
sforzarci per cercarla. Si vogliono notizie su un argomento
e basta digitare poche parole su un motore di ricerca. Neppure
la fatica di arrivare ad una biblioteca, sfogliarne gli
archivi, crearsi una bibliografia. Il pc ci ricopre di notizie,
articoli, immagini, riferimenti con un semplice click, ad
un costo irrisorio.
E’ bellissimo, e orribile allo stesso tempo. Orribile
perchè l’uomo per secoli ha appreso in modo
completamente diverso. La cultura è sempre stata
appannaggio di pochi, che vi arrivavano dopo una lenta e
faticosa preparazione, un iter progressivo, quasi religioso,
in cui il discepolo veniva preparato sotto la guida del
maestro ad avvicinarsi ad un testo, leggerlo, capirlo.
Perché il libro è un microcosmo, una porta
attraverso cui venire in contatto con centinaia di migliaia
di altre vite, un mezzo per comunicare con saggi e filosofi
che parlano ancora in televisione o sono vissuti migliaia
di anni fa. Leggere trascende il tempo e lo spazio. I libri
ci trasportano in altri paesi dove possiamo incontrare personaggi
che possono diventare i nostri maestri di vita e aiutarci
a trovare le risposte ai nostri quesiti. I libri possono
dare l’opportunità di viaggiare con Marco Polo,
partecipare ad una battaglia con Giulio Cesare, riflettere
sull’amore con Platone. Non siamo costretti a limitarci
alle nostre esperienze personali e attraverso la lettura
possiamo fare nostre altre esperienze e sviluppare nuove
idee e nuovi punti di vista, allargare i nostri orizzonti.
Un buon libro ci dà la possibilità di appropriarci
del modo di pensare dell’autore, le sue esperienze
diventano le nostre, possiamo raggiungere una profonda comprensione
della vita e della gente, ed offrire a noi stessi la più
ampia possibilità di scelta. Questo è il potere
della lettura.
Ma questo potere se non è guidato, controllato, consapevole,
può ritorcersi contro chi lo usa.
Negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad una offerta
di cultura incredibile rispetto al resto della nostra storia
come umanità: classici venduti nelle edicole a prezzi
irrisori, cassette da ascoltare per chi è troppo
pigro per leggere, video per chi è troppo pigro per
ascoltare, libri di qualsiasi tipo pubblicati e dati in
pasto ai lettori senza neppure il famoso quarto di copertina
a presentarli, dati in omaggio con riviste e giornali. Ci
piombano in casa o sotto l’ombrellone senza che neppure
ce ne accorgiamo, senza sapere chi siano, e non ce ne stupiamo,
quando invece dovremmo: vorremmo un estraneo in casa, che
entra all’improvviso e si siede in salotto senza neppure
presentarsi, di cui magari non comprendiamo neppure la lingua
o la cultura? Lo inviteremmo certo a uscire prontamente.
Ma il libro no. Ci viene dato, regalato, venduto scontatissimo,
lo portiamo a casa e lo mettiamo a riposare su uno scaffale,
lo sfogliamo, finiamo per leggerlo e magari pensiamo di
anche di capirlo, senza sapere da dove viene, quale mondo
sconosciuto e complesso lo ha prodotto, creato. Privato
di contestualizzazione, il libro si apre all’interpretazione,
le parole vengono rielaborate, travisate. E’ un modo
di leggere, certo, ed è anche valido, ma non può
essere, non deve essere il solo modo.
Perché si possono leggere i “Promessi Sposi”
anche senza sapere nulla della dominazione asburgica in
Italia, o farsi rapire dai versi dell’Iliade senza
conoscere niente della cultura greca, leggere i frammenti
di Alceo e Saffo come se fossero i componimenti ermetici
di Quasimodo e Ungaretti, o magari pensare che Dante scrive
in dialetto toscano e andrebbe tradotto in italiano corrente.
Un libro è un microcosmo, ma è anche unito
inestricabilmente alla società da cui è stato
prodotto, intriso della sua cultura. Porta un messaggio
eterno, ma è anche inserito senza scampo nel suo
tempo.
Leggere “Il Vangelo di Giuda” con gli occhi
di un uomo del ventunesimo secolo, ormai incapace di cogliere
riferimenti, formule, espressioni tipiche di un tempo e
di una cultura non irraggiungibili, ma certo lontane da
noi, è come guardare un film di Ingmar Bergman in
versione originale. Bello, evocativo, suggestivo, ma non
ci si capisce niente.
Questo discorso non vuole difendere una cultura di elite
fatta di circoli chiusi controllati da una casta di iniziati.
Ci siamo liberati da tutto questo e il risultato è
il meraviglioso progresso di quest’ultimo secolo.
Il mio è un invito invece a non essere superficiali,
ad avvicinarsi al libro non solo come universo a se stante
ma prodotto di una cultura, di una società e di un
tempo a cui è legato da mille e mille fili, che dovremmo
imparare a seguire per non perderci in un labirinto di facili
congetture ed interpretazioni sbagliate e che producono
falso sapere.
Il divertente libro di Dan Brown ne è un tipico esempio:
tutta la sua elucubrazione sulla cospirazione per screditare
Maria Maddalena avrebbe senso forse spostata di almeno 600
anni. Una discendenza divina, ai tempi in cui Augusto si
faceva aiutare da Virgilio a vantare la discendenza della
gens Julia direttamente da Venere, lungi dal fare scalpore
avrebbe anzi aiutato il cristianesimo ad imporsi come culto
più facilmente comprensibile ai contemporanei. Tutta
la struttura del suo romanzo vale soltanto se letta ora
con i nostri occhi e con 2000 anni di storia della chiesa
alle spalle. Ad un ebreo o un romano del I o II sec. d.C.
sarebbe sembrata incomprensibile.
Diventiamo curiosi, impariamo senza pregiudizi, apriamoci
a modi di pensare diversi dal nostro: si diventa più
tolleranti e anche più intelligenti (e si fa bella
figura con gli amici in pizzeria).
Sonia Conversi |