PRIMAVERA
DEL ‘44
Primavera del quarantaquattro, la giornata
è vanamente tiepida e serena, continuano movimenti
di truppe tedesche che si susseguono da giorni. Dal fronte
adriatico, sotto l’alto comando del generale Kesselring,
confluiscono a contrastare le armate alleate su quello tirrenico.
Puntuali, da qualche giorno, sfrecciano incursioni di caccia
britannici per intercettare linee e rifornimenti del nemico.
Roma non è lontana, dista meno di cinquanta chilometri,
e qui l’orizzonte è contornato di aperta campagna:
per lo più ulivi tra ondulati pendii di colline.
Sento e comprendo quanto sta accadendo, ne conosco i luoghi,
lo spazio e persino il tempo. Lo vedo in prima persona,
senza neppure essere stato concepito, attraverso gli occhi
di mia madre e sotto forma di coscienza astrale. Di primigenia
essenza ho facoltà di percepire, disincarnato nell’ovocita
quiescente. Un destino sospeso tra ipotalamo ed ipofisi
che, in balia di ormoni, mi porta all’infuori del
tempo, tra gli eventi di quella stessa visione. Mia madre,
giovane donna provata ma forte, gode di un’ottima
funzione ciclica dell’ovaio, con mestruazioni regolari
impiantate da una buona produzione di ormoni steroidei.
Stamani attraversa i campi, guardinga e ancora un po’
bambina, trasformando l’incombente pericolo in una
sorta di gioco, per trovare, nella fantasia, un’ulteriore
via di uscita. Porta nel ventre, stretta, una borsa d’acqua
calda con dentro olio fresco di molitura. È a pochi
passi dalla via Salaria, da più di quindici minuti
il fuoco sembra tacere e, tra le retrovie, transitano ancora
reparti di SS in scorta a munizioni e rifornimenti. Un camion
la nota e si ferma; il sergente Brunner, in uno stentato
ma collaudato italiano, la invita, educatamente, offrendole
un passaggio. Lei indugia, ma non più di qualche
istante, per poi prendere posto tra i commilitoni, sopra
casse di proiettili e dinamite.
Il percorso è lungo e, di mezzi civili, all’epoca
se ne vedevano davvero pochi. Lui, il sergente, continua
di tanto in tanto a sghignazzare raccontando improbabili
barzellette tra tedesco ed italiano. Lei, da parte sua,
sembra quasi incurante del pericolo di tutto quell’arsenale
ma, nondimeno, è rigida e timorosa nel trovarsi sola,
in una morsa di uomini a farle contorno. Lo sguardo di Brunner,
tra una battuta e l’altra, si lascia distrarre da
quel poco di caviglia che fuoriesce dalla gonna. Poi, all’improvviso,
un rombo cupo si addensa, ovunque, nello stomaco. Il sergente
dà ordine di lasciare il veicolo, tutti corrono lungo
la scarpata.
Giallo! Vedo giallo negli occhi di mia madre che fugge,
corre via accasciandosi a terra. La scarica di adrenalina
si assesta, frazioni di secondi, e la polvere sollevata
riprende un grigio, più naturale colore, tra il sangue
e le grida soffocate dal rumore dei motori, nel boato della
deflagrazione. Fluttuo, a mia volta, terrorizzato, spintonato
tra altri oviciti. È una carneficina, diversi non
arriveranno ad assestarsi, predisponendosi ad una futura,
più feconda vita: nobili ovulazioni pronte a rincorrere
il sogno di baciare lucenti getti di spermatozoi e divenire
esistenza! Io, con la più paradossale delle fortune,
quella del sopravvivere, dal menarca mi assesto nella zona
più attiva e prossima alla menopausa. Sarò
uno degli ultimi superstiti all’atresia, nonché
predestinato a concepimento; uno strano frutto di quel primo
“boom economico”, in bianco e nero, ancora in
odore di dopoguerra… L’insolito incontro con
l’ostinata volontà di un flusso spermatico
tardivo ma innamorato del vivere e, soprattutto, di mia
madre. Come loro ho conosciuto l’amore, nella strisciante
guerra di una protratta pace, attraverso gorghi d’egoismo
e solitudine, sentendomi ancora vivo.
Enrico Pietrangeli
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