LA FABBRICA
DI CIOCCOLATO
Tim Burton, lo scatenato inventore di mostri, fantasmi,
licantropi e deliri stavolta gioca ad allestire una coloratissima
favola, apparentemente crudele e surreale (non lo sono poi tutte
le favole?), ma in fondo con tanto di morale e di “vissero
felici e contenti” per nonnetti arzilli e buoni bambini.
Insomma la bontà è premiata e nella povera casetta
sgangherata e intorno alla tavola apparecchiata brillano i sorrisi
di un fiducioso futuro.
Più Dickens che Grimm insomma; ma i mostri dove sono? Non
sono gli allegri nanetti che fabbricano dolci e cantano in coro,
non sono i frenetici scoiattoli sbuccia—nocciole e non ci
sono nemmeno vampiri e lupi cattivi. I mostri sono proprio i bambini
in cerca del “tesoro” finale, frutti acerbi e già
marci di una aberrante, violenta e ingiusta società umana:
la odiosissima e viziatissima bimba figlia di ricchi imbecilli,
la spietata biondina—masticatrice laccata e idiota come la
mamma, che già contempla il mondo in vincenti e perdenti,
il piccolo animale campione di video—game, feroce e sprezzante
come uno “scalatore” di Wall street. In fondo il meno
antipatico è l’orrendo grassone—golosone che
rischia di annegare in un lago di cioccolata. Tutti, insomma,petulanti
e mostruosi fiorellini (già bacati) di una logica e di una
morale tutta nostra e contemporanea,fatta di prepotenza egoismo
e superficialità. I mostriciattoli spariranno nell’inceneritore?
Ma no! Gabbati e puniti torneranno umiliati (forse) a ridimensionare
e riconsiderare la loro infanzia ripulita dalla sudicia aridità
dei “grandi”.
Festoso e rutilante “remake” di "Willie Wonka e
la Fabbrica di Cioccolato" (1971) con Gene Wilder, ritorna
la favola del cioccolataio-filosofo con stavolta maestro di cerimonie,
buffo e pazzo come il coniglio—cappellaio di Alice, lo stralunato
Johnny Depp, una specie di androgino che veste come Elton John e
Michael Jackson messi insieme: bambino stupefatto e prigioniero
felice della sua fabbrica—castello. Come Peter Pan (e come
molti grandi artisti), incapace di misurarsi con la realtà
esterna, si è costruito un mondo di incanto e di sogno dove
tutto è possibile e tutto il resto è fuori dal cancello.
Niente moralismi e rimorsi: in fondo non è quello che vogliamo
tutti? Salvare i nostri sogni e vivere dei nostri desideri. La morale
finale, per contentare sociologi e censori, sà un pò
di rattoppato e il buonismo di maniera ci appiccica e ci impiastra
un pò tutti,dopo il sano aceto delle piccole crudeltà.
Ma non è il destino di tutti i favolisti, da Esopo a la Fontaine?
Contentare il re, dopo aver contentato le proprie segrete passioni.
Luigi M. Bruno
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