FUTURISMO
IN MASCHERA
Quando si parla di Futurismo il pensiero, nella
maggior parte dei casi riferibili ai non addetti ai lavori,
corre lungo direttive che portano a personaggi ormai storicizzati
e famosi come Tommaso Marinetti, Giacomo Balla, Boccioni,
Depero e via discorrendo. Ma il Futurismo o i futurismi possibili,
al di la di una corrente espressiva del linguaggio artistico
novecentista, fu un modo di concepire il mondo contemporaneo
in rivolta; una moda e un sistema di vita elevato ad estetismo
esistenziale. Dal grande alveo del Futurismo storico, si sono
dipartiti rivoli sempre maggiori che nel corso degli anni
hanno caratterizzato futurismi regionali, facendo emergere
varie personalità artistiche tutte figlie della straripante
e tormentata personalità marinettiana fino a giungere
alle soglie degli anni settanta del Novecento.
E’ il casso di Pippo Oriani (Torino 1909 – Roma
1972), artista originale e di spessore, appartenente al secondo
Futurismo, al quale il Museo Boncompagni dedica una mostra
retrospettiva che conta una settantina di opere oscillanti
cronologicamente tra gli anni Trenta e gli anni Settanta.
Una mostra realizzata grazie alla partecipazione della Fondazione
Oriani di Metz (Francia), presieduta dal figlio dell’artista
Gabriel Henry Oriani che insieme a Mariastella Margozzi ha
curato la mostra.
La scelta iconografica è pure emblematica, dal vasto
repertorio figurativo dell’artista si è enucleato
un gruppo di opere pertinenti le maschere; una sorta di rivisitazione
meditata nella quale convivono molti degli elementi surrealisti
che si intrecciano alla poetica irriverente della velocità
modernista del primo Futurismo, dissacrante e demistificatoria
nei confronti del passato. A questo si aggiunga la potente
tensione nei confronti dell’espressionismo, adatto a
svelare con sarcasmo e con ironia il dramma esistenziale che
si cela dietro le smorfie e gli atteggiamenti dionisiaci e
festaioli dell’uomo maschera, o dell’uomo massa,
che si svela o si nasconde alla storicità. In questo
gioco, eterno dilemma dell’essere e del sembrare, i
colori sgargianti e i ritmi guizzanti e decorativi della linea
contribuiscono ad accentuare quel clima di paura e di angoscia
o di esaltazione declamatoria che la vita a volte procura.
Effetto amplificato anche dalle tecniche utilizzate: olio,
pastelli, encausto, inserti materici, che testimoniano l’approccio
sempre inquieto di Oriani verso la pittura. Il vissuto esistenziale
della collettività si maschera ed irride sé
stesso, cullato dall’andamento bizzarro del colore che
recita esemplarmente il ruolo dell’attore principale
garante dei diversi stati d’animo: essi si intrecciano
“simultaneamente” nella velocità spasmodica
che diviene allegoria della vita.
Per l’occasione viene proiettato il film futurista Vitesse,
realizzato dall’artista nel 1933 e recentemente restaurato
ad opera della Fondazione.
Roberto Cristini
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