NOMADI

Sostano i carri in mezzo alla pianura,
le stanghe a terra,
distanti tra loro quanto è giusto.
Due cavalli brucano l’erba;
altri, immagino, stanno pascendo
dietro il filare dei pioppi.

La pianura, gli alberi, le case
e i monti all’orizzonte,
scomparso il pulviscolo del giorno,
il cielo sovrasta.
Lontano, verso la montagna,
un tratto obliquo
segna la via che seguirà domani
la piccola carovana.

I nomadi amano, rubano, battono metalli.
Fosse solo per questo
tutti nomadi saremmo.
Come i fiumi ricevono i nomi
dai Paesi che attraversano;
allevano cavalli; non producono guerre.
Non posseggono terra:
non si può possedere ciò che si ama.

La madre dei nomadi, la Musica,
con la sua voce ovunque li conforta;
con loro viaggia sui carri,
vigila accanto alle tende
perché subdola non entri
la solitudine.

E a sera, come adesso,
quando non puoi non ascoltare,
anche te quella voce raggiunge
a spiegarti la vita:
ci è stato dato e tolto il Paradiso
e qui, dove devono essere,
ricerchiamo le Porte del Cielo.

Nella finestra
il profilo del colle e delle case;
l’aria pulita moltiplica le stelle.
La Terra è una carrozza:
nel silenzio sentiamo il suo incessante andare.
E’ l’ora in cui da fontanili oscuri
si abbeverano i sogni.
Quale spazio ci ospita stanotte?
Nomadi siamo tutti.

Oreste Bertoldi
Inedito