IL CIELO
«Devo ricordarmi di lasciare le chiavi al portiere...
che le dia a Rosa... così finalmente finirà di pulire
la casa».
Questo il pensiero ossessionante di Ernesto al risveglio che lo
tampina durante la doccia e poi ancora in cucina a farsi il caffè.
È buio, le sette del mattino di una giornata piovosa di dicembre,
identica alle ultime di novembre, copia conforme di tutte quelle
giornate che sconsolano fin dalle prime ore.
Per andare dalla cucina alla camera da letto l’uomo attraversa
in obliquo il salotto, lo fa una decina di volte come al solito
avanti indietro, eppure con la coda dell’occhio avverte un
che di diverso, una strana altezza delle pareti intorno a sé.
Prosegue verso l’armadio per mettersi la giacca grigiofumo
spinata in tinta coi calzini.
È una delle idee che gli va fissa abbinare la giacca ai calzini.
La cravatta invece non la mette mai, un atto di ribellione che gli
partì a diciott’anni assieme ad una allergia per il
latte e la cipolla.
Sette e mezza. Ernesto passa in salotto a cercare l’agenda
messa chi sa dove e la stilografica sotto i giornali sparpagliati
sul divano.
Lo attanaglia una forte sensazione via via crescente.
Il quadro di Guccione ha dei viola e dei turchesi mai vistiprima,
così i peltri della madre mai stati così lucenti e
il muro pastellato mai così rosa.
L’uomo si gira di scatto e vede, per la prima volta nella
sua casa, il cielo.
Un cielo di nuvole rotanti a forma di spuma di limone... di mousse
alla fragola... filamenti di carminio e splendidi squarci d’ocra
che paiono troni... e dèi luminescenti.., e carri alati...
e frecce dappertutto.., e ancora suoni partiti da lontano in viaggio
per ancor più lontano.., verso l’infinito.., chissà…
l’infinito...
L’uomo dalla giacca grigia spinata siede sul divano, s’è
lasciato cadere come un’ombra fra i cuscini morbidi davanti
allo spettacolo del cielo.
Sì. Perché dalla sua casa ora si vede il cielo. Il
cielo.
E questo perché Rosa ha lavato le tende.
Questa la ragione per cui deve lasciare le chiavi al portiere, ora
ricorda bene, perché Rosa rimetta le tende.
E pensare che lui s’era lamentato di Rosa, troppo lenta, non
come la Maria che in quattro ore è solita rimestare tutta
casa; Rosa, al contrario, in otto ore non ha fatto neppure in tempo
a rimettere le tende.
Il cielo muta vorticosamente davanti agli occhi di Ernesto, è
una giornata ventosa che spazza via i bassi nembi mentre un sole
larvato lotta per affermarsi.
L’uomo in grigio sprofondato nel divano stringe fra le mani
i cuscini rosa.
È senza pensieri, respira profondamente.
La stanza è invasa dalla presenza dell’eterno.
Passato e futuro si fondono amabilmente, l’uomo spazia in
una dimensione eterea e appagante, è come se il tempo gli
scorresse di traverso sotto la schiena, come quando galleggiava
a pelo d’acqua da ragazzo a fare il morto, e lo spazio tutto
fosse sconfinato.
Ernesto rimane lì sul divano, dimentico in un mare di silenzio
si specchia nel vorticare del creato... finché gli esplode
un pensiero, sì... non doveva essere quella la vera storia
del serpente... i due poveretti furono cacciati dal paradiso...
sicuramente perché Eva ci aveva messo le tende.
Silvana Baroni
da Alambicchi
ed. Manni, 2005
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