IL POSTINO AMERICANO
Sogni, è difficilissimo che io ne faccia. O,
se hanno ragione coloro che dicono il contrario, rarissimi sono
quelli che ricordo. Per lo più li consumo prima che insorgano,
vale a dire da sveglio e a occhi aperti. Epilogo il non finito,
contrasto le manifestazioni fenomeniche tendenti a infrangere le
mie gestaltiche percezioni e a svalutare le fondamenta dei miei
più saldi valori. Così, da tempo remotissimo, pongo
in atto procedimenti mentali preventivi contro angosciosi enigmi
onirici.
Un caso di questi è quello della signora Betty - guancia
affondata nel guanciale - che mi stantuffava col viso davanti agli
occhi, rinculando ai colpi nel didietro portatile dal postino signor
Chinaski, come è nell'ultima proposizione del decimo capitoletto.
Mi guardava con espressione remissiva, la Betty, intanto che il
Chinaski si dava cura di scaricarle nel caldo buco del condotto
posteriore, usato impropriamente come ricettacolo di pene, tutte
le umiliazioni dovute da lui incassare e metabolizzare nel corso
della tipica giornata lavorativa americana.
Guardandomi, la Betty sommessamente mi diceva: «Sia ringraziato
Dio per le Sue elargizioni. Sia fatta la volontà Sua e così
sia».
Chinaski e Betty: le due figure che mascherano la terza, ho pensato.
Una, quella del pragmatico postino rassegnato di Post Office; l'altra,
quella di una donna semplice semplicemente ammansita; la terza,
quella del Bukowski deus ex machina, santo seriale di matrice paolina
- il Paolo di Tarso, incluso lo zelante epigono suo Tommaso delle
chiaviche di Aquino.
In tal modo, sciolta in brevissimo tempo l'ambiguità
delle concessioni erotiche del testo, disinnescato con ciò
il subdolo dispositivo subliminale che vi si nascondeva, questo
quadretto di presunta santità ha potuto continuare a godere
del mio, sì ininfluente ma, sempre fermo disprezzo.
Augusto Pantoni
Inedito, 2001
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