LA CULTURA DELLA FOTOGRAFIA
Intervista con Simona Filippini
a cura di Marianna Fazzi
A poche settimane dall’avvio del discusso “FotoGrafia - Festival Internazionale di Roma” abbiamo incontrato Simona Filippini, direttrice di Camera21, associazione culturale romana che promuove mostre, laboratori e progetti legati alla fotografia. Quella avuta con la Filippini è stata un’interessante chiacchierata che partendo dalle attività dell’associazione è arrivata a toccare temi più generali, ma non per questo meno incalzanti e significativi come il ruolo della fotografia e il posto che questa va assumendo nella creazione artistica e amatoriale.
MF: Quando è nata Camera21?
SF: L’associazione è nata circa un anno fa dall’incontro un gruppo di fotografi, curatori, docenti e appassionati. Il nome Camera21 viene da un mix di coincidenze, alcune anche personali, che vogliono sottolineare più che altro la convinzione che la fotografia sia un mezzo di comunicazione e produzione artistica quanto mai attuale, anche se siamo erroneamente abituati a pensare che nella grande comunicazione massmediale, questa sia stata raggiunta e poi superata dalla televisione e da internet. La fotografia, anche quella dilettantistica, viaggia ormai in rete.
MF: Può illustrarci brevemente le attività della sua Associazione e quali sono le sue peculiarità?
SF: Come associazione abbiamo promosso diversi programmi, come mostre, laboratori e workshop che ruotano intorno alla volontà di promuovere un sempre maggiore interesse verso la fotografia. In questo senso lo scorso anno, in collaborazione con il Festival di Fotografia, abbiamo invitato trenta artisti affermati a partecipare con una foto a “La Collezione”, un progetto che si ripropone di dare nuova linfa al collezionismo fotografico, ancora penalizzato rispetto a quello più classico di quadri o sculture.
La fotografia però, per sua stessa natura e diffusione riesce ad arrivare ad un pubblico più vasto ed è proprio per questo che ci interessa anche allargare la fascia della cultura fotografica. L’anno passato al Liceo Pasteur di Roma abbiamo tenuto un laboratorio con i ragazzi e qui abbiamo scelto di dedicare molto tempo alla storia della fotografia e alla lettura delle immagini al fine di stimolare in loro un approccio più attento e meno frenetico.
Infine molte delle nostre iniziative sono legate alla voglia di investigare cosa fotografano, registrano, insomma cosa cattura lo sguardo dei non addetti ai lavori. Nei diversi progetti effettuati, è stato chiesto loro di scegliere cosa e quando fotografare e raccontare. Il punto di vista, sia dei bambini protagonisti di Napoli/Forcella che quello delle dieci donne immigrate che hanno partecipato a Di Lei, si è dimostrato essere portatore di un vissuto di cui spesso la società non vuole essere consapevole. In modo particolare Di Lei, presentato qualche giorno fa alla Provincia di Roma, mostra uno spaccato di integrazione felice molto diverso da quello che viene dipinto continuamente dai media, raccontato finalmente dal punto di vista delle lavoratrici immigrate.
MF: Avete trovato resistenze da parte delle persone coinvolte?
SF: Assolutamente no, anzi. Nel laboratorio al liceo abbiamo avuto un boom di iscrizioni che non aspettavamo, stessa cosa con i bambini di Forcella. A quell’età sono molto ricettivi verso la fotografia. Anche da parte delle donne coinvolte nell’ultimo progetto non ho registrato alcuna resistenza. Ho solo preso coscienza di un fattore che inizialmente avevo trascurato. Queste donne nel loro paese d’origine erano impiegate, dipendenti di banca adesso sono collaboratrici domestiche e sanno di essere giudicate per il lavoro che fanno qui, per questo ci tenevano, un pò come facciamo noi in casa nostra quando aspettiamo un ospite, che tutto fosse più o meno in ordine.
MF: Parlando più in generale, quale pensa sia oggi l'input che dovrebbe dare la fotografia, che cosa dovrebbe raccontare?
SF: Personalmente sono poco attratta dai grandi reportage di paesi lontani. Penso che ci sia ancora così tanto da raccontare e da dire sulla nostra realtà più prossima che vorrei che fossero promosse più iniziative in questa direzione. La fotografia, soprattutto se ci si prende il tempo di osservarla e se la si lascia camminare nella nostra mente, ha il potere di restituire una visione altra su di una quotidianità a cui siamo per certi versi atrofizzati o che ci è sconosciuta.
MF: Cosa si sentirebbe di consigliare a chi decide di approcciarsi per la volta alla fotografia?
SF: Beh…di guardare e leggere tanto, ma soprattutto di non avere fretta. Rallentare il tempo della visione, per recuperare il contatto con la realtà, per ritrovare i limiti del reale, del visibile, in grado di svelarci prospettive sempre nuove. La fotografia è un modo per porsi domande: cosa, come, quando e dove. La ricerca della risposta a queste domande conduce ad una vera avventura dello sguardo. |