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ASPETTANDO CHE RITORNIno IL LATTE E IL MIELE

Sono passati quasi quattro anni da quando, unilateralmente, il premier israeliano d'allora, Sharon, lasciò il territorio di Gaza all’Autorità nazionale palestinese.
Nel frattempo Hamas ha conquistato il consenso della maggioranza dei palestinesi, grazie anche all’incapacità Fatah – componente maggioritaria dell’Anp – di contrastare la corruzione tra la dirigenza palestinese, oltre che con opere di bene, prendendo il potere ed estromettendo i rappresentanti e i simpatizzanti dell’Anp dalla striscia di Gaza.
Affacciata sul Mediterraneo e confinante con l’Egitto, oltre che con Israele, Gaza è uno dei territori di maggiore densità abitativa al mondo.
La maggiore responsabilità dell’attuale situazione a Gaza è da addebitarsi alla comunità internazionale, all’Europa e agli Stati Uniti, all’arcipelago islamico e all’Onu, che si ricordano della situazione israelo-palestinese solo quando si ritiene eccessivo il sangue che viene sparso.
La comunità internazionale non si è mai impegnata seriamente nel garantire la sicurezza quotidiana alla popolazione israeliana e a quella palestinese anche una dignitosa condizione di vita.
Due popoli, quello israeliano e quello palestinese, che dovranno ampliare la reciproca conoscenza, per una convivenza pacifica e di mutua cooperazione.
Sarà possibile trovare dei compromessi ed emarginare gli estremisti, solo quando un popolo non vede l’altro come nemico, come dimostrano i numerosi esempi di collaborazione nel campo artistico e scientifico, e non cercare di prevaricare in qualche modo l’altro.
Israele è parte della storia di quella terra, come lo sono i palestinesi, e il muro edificato con un andamento curioso, penalizzando i villaggi non ebraici, ha evitato infiltrazioni delle bombe umane, rendendo meno pericoloso sostare alla fermata degli autobus o prendere il caffè al tavolino di un bar, ma non ha aiutato la comprensione e la convivenza.
Si può salvaguardare la sicurezza rimanendo salomonicamente giusti, si può esercitare la forza senza eccessi e lasciando nei depositi i proiettili al fosforo.
Il territorio di Gaza è un campo di detenzione, mentre Sderot e Ashqelon, come anche Ashdod e Beer Sheva, vivono sotto i razzi Qassam e Grad, un brivido giornaliero della roulette che può terminare solo rendendo inutilizzabili i numeroso tunnel nella zona di Rafa, rendendo impermeabile il confine con l’Egitto, stroncando il lucroso contrabbando di ogni genere e in particolare di armi.
Il Tsahal, l’esercito israeliano, è forte, ben equipaggiato e ha la divisa, mentre gli altri che lanciano razzi sono invisibili, si nascondono tra donne e bambini, usano moschee e strutture pubbliche fabbriche e depositi d’armi, ma non si possono colpire ospedali e scuole, tanto più se sono gestite dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) dell’Onu.
Non trova attenzione, tra i giochi degli “adulti”, il diritto all’infanzia, come ben viene schematizzato da Rania di Giordania nel suo appello alla comunità internazionale. Un’infanzia usata, schiacciata e martoriata in ogni conflitto.
Forse è l’ultima occasione per la comunità internazionale di superare i momentanei ipocriti sussulti di sgomento per le tragedie di due popoli, aiutando concretamente la sicurezza e la vita in quei territori o lasciando al proprio destino chi abita nell’unico luogo dove le tre religioni dell’unico Dio si incontrano e ritengono sacro, con la speranza che ritorni a scorrere il latte e il miele e non sangue.

http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/440


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