Armeni: Prove di sterminio moderno
Per gli Armeni il 1915 è stato solo l’apice di una persecuzione iniziata sommessamente già alla fine dell’800, con l’emarginazione perpetrata dal sultano ‘Abd ul-Hamid per trovare un capro espiatorio per l’incapacità del governo di portare avanti una politica economica efficace e reagire alla disgregazione dell’Impero.
Un disfacimento, quello dell’Impero ottomano, che venne agevolato dai cambiamenti nell’area balcanica e dalla pressione delle nazioni occidentali.
Ogni potenza occidentale voleva un pezzetto dell’impero ottomano e così tra il 1911 al 1913 il sultano comincia a perdere la Libia, Albania, Macedonia e poi le numerose isole dell’Egeo.
Così in una Turchia che dava l’addio all’impero ottomano e con un’Europa sempre più presente nel Mediterraneo, un colpo di stato dei cosiddetti Giovani Turchi, d’impronta fortemente nazionalista e laica, voleva riscattare l’onore che la decadenza di una monarchia dedita ai sollazzi più che al governare, aveva perduto, trascinato il regno nel caos.
Un colpo di stato che cercava l’adesione anche nelle aree rurali e dei musulmani da ottenere con l’identificazione di un nemico e chi meglio della comunità armena, cristiana e dedita al commercio, per catalizzare la rabbia del popolo e fare il gioco nazionalista della futura classe dirigente.
L’establishment ottomano ideò l’annientamento armeno nell’Hotel Baron, nella città siriana di Aleppo, dove il proprietario di allora aveva recuperato da Naim Bey, responsabile del campo di deportazione di Meskene, gli ordini originali per lo sterminio. Documenti che vennero usati nel processo contro i responsabili del genocidio.
Un hotel, ora sulla linea di fuoco tra governativi siriani e insorti, amato da Lawrence D’Arabia e Agatha Christie, dove scrisse Assassinio sull’Orient Express, frequentato da Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna, e dal re Faisal I di Iraq e Siria., ma anche dal maresciallo Montgomery, De Gaulle, Nasser, Ceausescu e Tito, oltre che da Pierpaolo Pasolini e il miliardario David Rockfeller.
Anche se non si vuol chiamare genocidio, è sicuramente stato un massacro quello operato dai turchi, fiancheggiati dai militari tedeschi, perpetrato nei confronti della comunità armena in Turchia.
Intere famiglie furono costrette a lasciare le loro case e i loro averi, obbligate a marciare nel deserto, private di cibo e acqua. Un massacro ispirato dal partito dei giovani turchi ed eseguita, con la supervisione degli ufficiali tedeschi, dall’esercito turco.
Una sorta di crudele selezione naturale in un esodo forzato che ha portato alla morte per sfinimento più che un’uccisione diretta di cui la Turchia continua a negare ogni responsabilità, minacciando ogni persona o nazione che usa il termine genocidio per descrivere comunque la volontà di un gruppo di persone nel voler annientare una comunità ritenuta non organica alla società che volevano creare.
Un atto di violenza che continua a essere negato come genocidio dai governanti turchi che in questi ultimi cent’anni si sono susseguiti, più per evitare richieste di indennizzo che per un rigurgito di orgoglio nazionalistico.
Le condoglianze offerte da Recep Tayyip Erdoğan, già nel 2014 come premier e ora come presidente turco, per il massacro degli armeni come un dramma che accomuna tutta la Turchia, da parte dell’impero Ottomano, è la dimostrazione di voler scindere le due identità: le atrocità di un sultano non possono essere addebitate ad una repubblica nata con l'Assemblea Nazionale nel 1922.
Gianleonardo Latini
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