Confessioni metropolitane
C’era una volta un povero uccelletto spiaccicato per terra, il suo piccolo cadavere era sul marciapiede forse calpestato da un passante.
Uscendo trafelata di casa come molte altre persone per affrontare una giornata qualunque, lo notai camminando, come un qualcosa di strano, già che per fretta o miopia, non lo mettevo bene a fuoco. Il povero cadavere rimase almeno un giorno sull’asfalto perché, ritornando a casa per rinchiudermi e isolarmi dal mondo dopo una lunga giornata qualunque, stava ancora lì. Questa volta mi fermai: ero curiosa di capire cosa avevo intercettato la mattina.
Appena lo vidi rimasi turbata per quell’esserino, ma la mia insensibilità urbana prevalse: lo fotografai pensando che potevo utilizzare l’immagine in un opera pittorica o in una scultura, successivamente mi chiesi se dovevo dargli sepoltura, poi decisi di lasciare il compito agli animali del quartiere o a chi era preposto alla pulizia delle strade.
Solo la settimana successiva mi accorsi che l’uccelletto spiaccicato mi aveva turbato molto. Ritornando infatti dalla rosticceria con uno dei miei cibi preferiti, il pollo alla diavola e rifugiatami in cucina in preda alla solita fame compulsivo-consolatoria, dopo aver passato una giornata qualunque, mi accorsi che ero incapace di consumare quel croccante e profumato pasto: mi ricordava troppo il povero cadaverino! Dopo un soggiorno di un paio di giorni nel mio frigorifero, il pollo finì tra la spazzatura.
Non ho avuto una conversione al Veganesimo simile a quella di San Paolo sulla via di Damasco, e non so neppure se potrei sopportare fisicamente una dieta vegetariana considerate le mie intolleranze al latte, al glutine, alla soja e ad un'altra dozzina di alimenti che mettono il mio colon in subbuglio etc. Sindrome questa (del colon irritabile) che non mi vergogno di ammettere, già che è ormai diffusa tra noi della comunità dei sedentari. Al momento, comunque, non riesco a mangiare più pollo ed in generale ho grossi conflitti con la carne, eccetto che sia cucinata in modo che non sia riconoscibile la sua origine animale e spero soprattutto di non incontrare dei poveri pesci spiaccicati sul marciapiede!
Nel susseguirsi interminabile di giornate qualunque, nonostante continuassi la mia inutile frenesia, non so se per il caldo africano o per i forti effluvi che fuoriuscivano dai contenitori della spazzatura, i miei sensi che generalmente erano concentrati nelle nevrosi del quotidiano, cominciarono a risvegliarsi facendomi notare indizi di un differente paesaggio, piccoli segnali lasciati apparentemente senza senso: un avviso a noi naviganti del cemento, come ad esempio una cassetta mangianastri appesa ad un cancello.
Anche in questo caso mi fermai per cercare di capire cosa stavo vedendo e fotografai incredula. Certo, la cassetta era stata posta così sul cancello da mano umana, eccetto che il figlio di King Kong non abbia voluto partecipare ad una performance urbana.
Mi chiesi e continuo a chiedermi, chi e perché qualcuno avesse avuto la necessità di appendere una cassetta da mangianastri su un cancello: un messaggio ad un amore perduto, un ricordo spazzato via dalle memoria ma esibito o semplicemente una persona che si trovava là per caso, con una cassetta mangianastri, filo e scotch adesivo?? Era già rotta o era stata rotta in segno di sfregio, protesta o disappunto?
Il piccolo segnale l’ho colto, ma non mi sono sentita di citofonare a tutti gli abitanti opportunamente protetti da quel cancello.
Claudia Bellocchi
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