Il Museo del nulla
L’ultimo capitolo della sofferta e contorta storia del Museo della Civiltà Romana prevede ora la chiusura al pubblico della struttura, con l’eccezione del Planetario, del Plastico e di alcune sale storiche.
Già era stato dichiarato inagibile il lungo sottopasso che unisce i due corpi di fabbrica principali, che ospita al piano superiore il calco della Colonna Traiana commissionato da Napoleone III e in quello inferiore il magazzino dei plastici non esposti.
In sostanza, l’enorme museo è stato dichiarato inagibile. A farne le spese saranno non solo i visitatori, ma anche l’ufficio dell’Antiquarium comunale.
Il problema purtroppo non è nuovo, ma strutturale: si tratta di edifici costruiti praticamente in tempo di guerra, con materiali scadenti – soprattutto il tondino del cemento armato – e già alcuni anni fa furono coibentati e rifatti i lucernai.
Purtroppo il trasporto pubblico ferma a diverse centinaia di metri dall’ingresso del museo. In più, il turista medio si ferma a Roma una media di tre giorni, cinque al massimo, e già ha tanto da vedere in città, anche se spesso chi ammira il grande plastico del Museo continua poi per Ostia antica. Opportuno sarebbe organizzare un servizio di navette dagli alberghi e inserire l’architettura dell’EUR nel giro del turismo di massa.
Ma andiamo per ordine.
La storia inizia nel lontano 1911, quando a Roma si tenne la grande Esposizione per i 50 anni di Roma capitale. In quel contesto, alle Terme di Diocleziano, curata da Rodolfo Lanciani, venne organizzata una mostra dedicata alle province dell’Impero romano, con calchi provenienti da tutte le parti d’Europa, Asia e Africa.
Tutto questo materiale fu poi acquistato dal Comune di Roma e Quirino Giglioli ne fece sotto la sua direzione un museo permanente, il Museo dell’Impero Romano, dapprima ospitato nei modesti spazi dell’ex convento di Sant’Ambrogio alla Massima (dietro al portico di Ottavia); successivamente nel 1927 nel corpo di fabbrica dismesso dalla Pantanella, in quel complesso edilizio addossato a Santa Maria in Cosmedin che ora ospita vari servizi del Comune di Roma.
Per la cronaca, sul frontone dell’Ufficio elettorale c’è ancora scritto inciso e ben leggibile “Palazzo dei Musei”. Ma la chiave di volta la diede la Mostra Augustea della Romanità, proposta dallo stesso Giglioli a Mussolini e tenuta nel 1937 a Palazzo delle Esposizioni, senza badare a spese e con l’apporto di molte istituzioni straniere.
Stavolta il fine propagandistico non era quello di valorizzare il contributo e il consenso di tutte le province verso il progetto politico unitario italiano, ma quello di esaltare la Romanità e l’Impero attraverso la figura di Augusto, di cui ricorreva il bimillenario. Questa mostra ebbe un successo enorme: un milione di visitatori in un anno, che per l’epoca non era poco. Ne restano il catalogo ufficiale e l’archivio.
E’ evidente una forte impronta ideologica nell’allestimento, ma è anche sorprendente la quantità e qualità del materiale esposto: modellini, calchi, ricostruzioni persino in scala 1:1. Grandi attrazioni erano anche l’enorme plastico di Roma imperiale creato dal Gismondi e il calco completo della Colonna Traiana, preesistenti alla mostra.
Molti originali purtroppo sono poco accessibili, come la Cirenaica o l’Anatolia.
Anche questa volta il materiale fu acquisito per dono o per commercio dal Comune di Roma (all’epoca, dal Governatorato) per essere stabilizzato in un grande Museo dell’Impero.
L’occasione sarebbe stata il reimpiego del bel complesso architettonico creato dall’architetto Pietro Aschieri e finanziato da Umberto Agnelli per l’E42, allo scopo di esporre ovviamente le automobili e gli autocarri prodotti dalla FIAT. Ma l’Esposizione non fu mai inaugurata a causa della guerra e gli edifici furono ereditati dall’attuale Ente EUR. Solo successivamente, negli anni ’50 del secolo scorso, l’Impero essendo ormai un lontano ricordo di un sogno infranto, il museo apre timidamente i battenti, inizialmente sotto la direzione di Carlo Pietrangeli.
E’ interessante leggere una pubblicazione da lui firmata nel dopoguerra: si evita qualsiasi riferimento alla Romanità e si parla genericamente di civiltà latina. In sostanza il sovraintendente deve adottare un figlio non suo e cerca di rimanere nel generico. In questo modo nel 1954 apre il Museo della Civiltà Romana, abbreviato MCR.
Per chi ci ha lavorato, quella del MCR è stata un’esperienza particolare.
A vederlo da fuori, il museo è bellissimo e le sue possenti mura e il colonnato si sono spesso visti nelle sfilate di moda e soprattutto in molti film ambientati nell’antichità classica e mitologica, i c.d. film peplum. Si risparmiava in tal modo sulle scenografie, con effetti tutt’altro che disprezzabili.
Non esiste una sala convegni perché nessuno ha mai pensato ad allestirne una, forse per l’ostilità dell’ente EUR che gestisce già il Centro Congressi ed è il reale proprietario della struttura del MCR.
In ogni caso la grande sala all’ingresso del museo è ormai occupata dal nuovo Planetario, redditizio corpo estraneo che sostituisce il vecchio planetario Zeiss alla Sala Ottagona delle Terme di Diocleziano e ha riqualificato il museo.
Ma passiamo ora alla parte immersa dell’iceberg. Pochi sanno che i sotterranei sono pieni di plastici e calchi pieni di polvere, in quantità pari al materiale esposto. Aggiungo pure che nel Museo esiste una buona collezione di libri e riviste d’epoca, pubblicazioni destinate alla biblioteca del Museo dell’Impero e che solo ora si sta cercando di riordinare dopo sessanta anni di incuria. Impegnativa attività del Museo è invece la concessione ad altri musei o a editori e reti televisive dei calchi e delle foto del materiale esposto, immagini che, nei libri e riviste dove sono pubblicate, almeno ricreano una sorta di museo virtuale di continuo ricomposto, come abbiamo spesso visto nelle trasmissioni di Piero Angela.
Dunque, l’enorme spazio espositivo è purtroppo sottoutilizzato. Speriamo che presto il Museo, punto di partenza per conoscere la civiltà romana, possa finalmente ritrovare la sua giusta importanza e dignità.
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