BALLERINA INGLESE
di Nero di Penna
O se preferite, Nero di Seppia.
Infatti la Ballerina inglese è un tipo di barca da diporto diffusa dagli anni ’50 ai primi anni ’60, e se per questo c’è pure la Passera istriana (1).
Ormai ci vivo da tre mesi: sfrattato, ho accettato la proposta di un mio amico: mi permette di vivere fino a maggio dentro il suo cabinato, ormeggiato in quel di Fiumicino, con l’impegno di fargli da guardiano e curare la manutenzione dello scafo.
A fine settembre, in Italia, la maggior parte delle barche – bianche, tutte uguali, stampate in vetroresina - finisce ormeggiata e lì resta fino a marzo, quando la gente ricomincia a uscir per mare, e molti sono gli skipper che d’inverno campano tenendo in ordine le barche degli altri.
Nessuna legge vieta di vivere in barca, anche se lo fanno in pochi: dove si atterra ci si registra alla Capitaneria di Porto mantenendo comunque residenza e domicilio da qualche parte (2).
Ho comunque una patente nautica entro le sei miglia, anche se navigo poco, e con la mia esperienza so anche come mantenere una barca di legno nei mesi invernali.
Per chi non abbia chiaro come si vive a bordo, dirò subito che lo spazio non è molto.
Ho letto di professionisti che abitano realmente in una barca ormeggiata in porto, ma parliamo di scafi dai 12 metri in su, non di un 6 metri dove dovresti far entrar tutto.
Anche se per diporto ci vanno in giro famiglie intere, spesso si litiga.
C’è un vano triangolare chiuso a prora - il gavone di prora - e lì possono dormire anche un paio di persone, quando non è occupato dai sacchi delle vele e allora si chiama cala di prora.
Il resto dello spazio interno va diviso tra due cuccette-divani lungo i lati di uno spazio oblungo, dove ci devono entrare anche il cucinotto, il tavolo di carteggio, un ripostiglio e almeno un armadietto o qualche mensola. In più, il bagno (3). Il resto è coperta, ed è proprio lo spazio esterno a permettere la vita di bordo: ci si sfoga vivendo in mare e non certo stando chiusi in una scatola.
Quando stai in barca vivi poco sottocoperta e molto invece sopra: la vela ti tiene sempre impegnato, preso come sei da drizze e manovre e turni al timone. Il tempo che si passa sottocoperta è dunque tollerabile perché breve.
Tutto questo lo dico per illustrare la mia nuova, strana situazione: io ero un naufrago in porto, ma la rinuncia a tutto ciò che avevo in casa alla fine l’ho vissuta come una liberazione e non come un sacrificio.
Dimenticate guardaroba, mobili e soprammobili, stoviglie ed elettrodomestici; vendetevi i libri che non leggete. Ricordatevi della naia, quando nell’armadietto di metallo doveva entrarci tutto.
E sappiate che se una barca è vissuta, gli interni non somigliano mai a quelli delle riviste di nautica: ci si muove, si occupa spazio; un oggetto fuori posto si nota subito e nessuna barca è pulita come al Salone nautico.
L’umidità poi va tenuta continuamente a bada. Così infatti scriveva Patrick Ellam, mentre il suo sloop “Sopranino” di sei metri usciva dalla Manica diretto a Plymouth, alla partenza della regata di Santander:
- “Due buone cuccette asciutte, due stufe, un gabinetto, una tavola per carteggiare, provviste abbondanti. Cosa può desiderare di più un marinaio?” (4)
- Ma chi pensa che io abbia rotto i ponti con la civiltà è un ingenuo: intanto sono ormeggiato a Fiumara Grande e non sull’isola deserta (5). Sto davanti all’ Isola Sacra, formata dal delta del fiume Tevere durante i secoli ed ora ampiamente (e abusivamente) urbanizzata. A parte una cassetta di metallo dove tengo i documenti e i ricordi personali (6), ho un cellulare e un portatile con chiavetta, in più da qualche parte verso il porto canale dev’esserci un internet point. Qui è pieno di antenne Gomex per vedere la tv a bordo, ma io me la vedo al bar. Ho invece una buona radio e chi mi conosce sa che io l’ascolto anche di notte. In più c’è la radio VHF di bordo per le comunicazioni in mare, e solo a tenerla accesa si passa la serata. Ma non sono un eremita, anche se per ora mi sono semplificato la vita. Al limite, dovrei cercarmi un lavoro. Ma cosa? Troppo bello sarebbe lavorare in un cantiere nautico, ma finirò per fare il cameriere in un ristorante. Posso comunque sperare di lavorare come traduttore o interprete per qualche ditta, ma ancora non conosco nessuno, le giornate sono piovose e non mi va certo di star sempre a bordo a riparare gli stralli e il timone. Controllo sempre il livello degli accumulatori, ma per il resto il lavoro è poco. La mattina presto quindi mi metto in tuta e corro sulla spiaggia dopo il Faro, dopo aver fatto colazione. Il cantiere per il nuovo porto turistico con la buona stagione diventerà un vivaio di zanzare, ma siamo a febbraio. A quell’ora non c’è nessuno, mi sento libero. La sera invece il tempo lo passo leggendo, scrivendo, cucinando. E’ bello leggere libri di viaggio stando in barca, anche se è ormeggiata.
- Già, i libri. A bordo la solita roba: il Portolano del Mediterraneo, il Libro dei fari, un manuale per velisti e quello di Mursia sulla manutenzione della barca (7), l’unico per ora da studiare sul serio. Gli altri – una dozzina – li ho portati io, alcuni sono normali romanzi, ma a bordo il mio libro preferito resta la Storia della navigazione di Hendrik van Loon, uno scrittore olandese una volta molto popolare in Italia. In più, sono un fan di Larsson e della sua Saggezza del Mare (8). Lui e sua moglie hanno navigato per mari dove un italiano neanche si azzarda: le Ebridi esterne e il Mare del Nord coi suoi stretti. E soprattutto, vivevano in barca. Ma una barca dove si voglia vivere dovrà presentare precise qualità, caratteristiche adatte per la vita a bordo. Per quanta passione si possa avere, non credo sia umanamente accettabile pensare di vivere in un barchino a vela di 6 metri. Io lo faccio, ma per necessità. In barca, per ogni metro di lunghezza in più si acquista un volume abitativo di almeno 2.5 volte tanto, e questo conta molto. Ora, la “mia” barca basta appena per le mie esigenze, eppure girano ancora minuscoli cabinati chiamati pivieri, dal nome di un simpatico uccellino. Sono un residuo della nautica per tutti, del sogno di poter armare un proprio piccolo cabinato da diporto, di poterci navigare durante l'anno, di portarci gli amici, la famiglia, i figli. Un sogno che, se non è già finito, ha le ore contate: per undici mesi di terra ed uno di "boa" si spendono 1500 euro. Se poi si pretende un posto barca in una marina decente, con qualche servizio in più rispetto al nulla, con bagni e doccia (utile proprio per armatori di barchette), con un posto dove mangiare, si spende almeno il doppio. Ed in questo conto non si include la carena, l'ordinaria manutenzione, e tutto quello che ne consegue. In nautica tutto costa caro, dai materiali alla manodopera specializzata. Non è dunque il costo della barca in sé: al prezzo di una macchina usata si compra un cabinato di otto metri; il problema è il costo per mantenerlo, senza gravare troppo sul bilancio familiare, senza pentirsi di questa sana passione, senza litigare con la moglie, con i figli, con i genitori, con se stessi. Ma se il costo per mantenere un cabinato di sei metri è più o meno lo stesso di quello per uno di dieci, dove sta la convenienza? Perché allora affrontare il mare con sei metri, stando scomodi, senza spazio a bordo dove stivare la roba? Perché non poter portare in crociera la famiglia al completo o gli amici? Cosa rimane, tolta la filosofia? Forse la bellezza dell'andare per mare a vela? Ma allora comprati una deriva, oppure iscriviti a un circolo nautico o frequenta gli amici con la barca, oppure pensa a un charter; insomma esistono tante occasioni che permettono di vivere il mare senza pensieri.
- A un paio di chilometri verso il mare aperto c’è il vecchio Faro, e ne ho anche una cartolina: costruito nel 1953 e alto 30 metri, con una portata di 28,5 miglia. Ormai è da molti anni in stato d’abbandono, ma nella cartolina c’è addirittura la dicitura “Nuovo Faro”. Una decina d’anni fa fu pure occupato per protesta, come riporto da un giornale d’epoca: 2005 Venerdì 23 settembre, alle ore 14 il Comitato Cittadino di Fiumicino ha proceduto all’occupazione simbolica del faro. Il Comitato intende richiamare l’attenzione delle autorità e forzarle ad intervenire per la riqualificazione del luogo storico oggi lasciato al degrado, e alla mercé di tossicodipendenti. Ecco il comunicato emesso in serata: Venerdì 23/09/05 il comitato Salvaguardia di Fiumicino ha occupato simbolicamente il vecchio faro. Il comitato formato da numerosi giovani del litorale, denuncia lo stato di abbandono e di degrado nel quale e' stato lasciato quello che possiamo definire il simbolo del comune di Fiumicino. Dopo una faticosa trattativa con P.S. C.C. e particolarmente con la Capitaneria di porto (proprietaria dello stabile, i quali si sono presentati con tanto di motovedetta, elicottero,e fanti di marina in tuta mimetica) i ragazzi l'hanno spuntata, montate le tende issati i tricolori ci si e' preparati alla notte.. Inutiledire che poi dei vari progetti non se ne è fatto niente. (Nota folcloristica: alcuni fanti di marina accorsi per sgombrare il faro erano tatuati con lo stemma della Decima MAS, e sono tornati la notte per scusarsi).
- Ma dal Faro in giù che c’è? Seguendo Fiumara Grande, solo case basse e abusive, recinti e steccati dappertutto. Un paio di buoni ristoranti: Lilly a via del Passo della Sentinella e Gina a via Costalunga, presso il Porto Romano Yacht Club Tevere, ma il resto è squallido. Dalla barca almeno si vedono i cantieri navali, i circoli nautici, le imbarcazioni ormeggiate. Quando poi a febbraio ha diluviato sul serio, sappiamo bene com’è andata: tanto valeva davvero vivere in barca, anche se è frustrante vivere in una nave che deve star ferma in porto anche se è capace di andar per mare, mentre c’è gran traffico di natanti a vela e motore che entrano ed escono in mare. Posso divertirmi ad ascoltare alla radio le comunicazioni con la capitaneria di porto o fra skipper, ma resto sempre ormeggiato al solito palo. Provo a immaginare il contrario:
- "Corto assaporava il salmastro dell'Oceano e lasciava che il suo sguardo si perdesse in quel livido orizzonte dove c'era posto per tante vite e per tanti sogni diversi. Amava quei lunghi silenzi e le immense distanze: non c'erano confini segnati, e i porti servivano solo per riposarsi prima di riprendere il Viaggio..." (Hugo Pratt, Una Ballata del Mare salato)
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- Anche se non posso prendere il largo, lo faccio dunque con la fantasia. Se vuoi costruire una nave, non radunare gli uomini per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito. Lo ha scritto Antoine de Saint-Exupéry, l’autore del Il piccolo principe. E’ per questo che Ulisse non riesce mai a star fermo, né sull’isola di Calypso, né a casa propria. E’ per questo che ho accettato volentieri l’offerta del mio amico quando ho perso casa. Ma posso sognare qualcosa soltanto quando il mare è agitato. A quel punto posso immaginare di stare in mezzo ai flutti, sballottato nella tempesta, in attesa di un calo del vento o delle onde. Ma si può viaggiare da fermi? Sicuro: l’hanno fatto decine di scrittori, l’hanno fatto decine di registi. Penso al grande regista portoghese Manoel de Oliveira e alle sue creazioni cinematografiche, penso ad Emilio Salgari che non ha mai navigato. Penso anche ai libri di viaggio inventati, che circolavano assieme a quelli realmente frutto di esperienza… si tratta solo di saper scrivere in modo lirico ed epico allo stesso modo. E saper evocare. Ecco per esempio un brano che ho rubato da un blog:
- Quel viaggio era il sogno della mia vita, fin da quando il capitano Carlos de Casso, uomo di mare che aveva preso il largo a soli quattordici anni, una volta doppiato Capo Horn in rotta per le Galapagos, mi aveva parlato con tale entusiasmo dell'isola del Morto, all'imboccatura del golfo di Guayaquil, che ero rimasto ammaliato dal suo racconto. De Casso morì mentre revisionava il telaio di poppa della goletta che si stava facendo costruire a Valparaiso, probabilmente con l'abituale passione che lo contraddistingueva. La sua improvvisa scomparsa avrebbe lasciato in sospeso per sempre il viaggio alle isole che progettavamo di compiere insieme... Che dire? C’è tutto: un viaggio fatto, uno progettato, un’interruzione nel percorso di una vita.
- Guardando il mondo da un oblò, mi annoio un po’… già, ma cosa fanno la sera sulle altre barche? Nel porto di Traiano c’è un po’ di vita soprattutto sui motoscafi d’altura, ma per il resto il porto canale si anima solo il sabato e la domenica. I pescherecci sono altra cosa, ma quelli tornano al tramonto e nessuno resta a dormire a bordo se non un guardiano o qualche immigrato che fa parte dell’equipaggio. Delle barche abitate si vede solo la luce dall’oblò o il colore delle luci di posizione. Nessuno sta in coperta con questo tempo, a meno che non debba sistemare uno strallo allentato o controllare che non entri acqua da un boccaporto mal chiuso. Si sente solo il tintinnare delle parti metalliche delle varie imbarcazioni. Quando tornerò a vivere sulla terraferma può darsi che non prenderò sonno per la mancanza di onde.
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- Tra i problemi che il Tevere qui pone ai naviganti c’è il fenomeno della barra. Esattamente all'altezza dell'uscita del fiume a mare si forma un basso fondale di sabbia profondo poco più di 2 metri, ai lati spesso tra 1 e 2 metri. Il suo effetto è quello di generare uno sbarramento, specie se sommato allo scontro tra la corrente del fiume in uscita ed al mare in entrata quando soffiano venti dal mare, in particolare quelli di Ponente (W) e Libeccio (SW), onde molto alte e verticali con frangenti pericolosi verso terra che impediscono il transito, la cosiddetta Barra, appunto. Quando le condizioni non sono proibitive, sono comunque impegnative; la forza delle onde spesso può afferrare la barca e intraversarla, ponendola in una situazione critica e pericolosa, anche perché nell’immediato non ti permette nessun tipo di manovra. In certi periodi il transito di barche in quel punto è intenso e non è semplice accodarsi e aspettare il proprio turno perché c'è corrente e ci può essere onda e la strettoia costituita dai fanali può forse rappresentare una difficoltà in più. Senza parlare dei casi, -molti - in cui a volte barche con elevato pescaggio s’incagliano sul fondale melmos. Quasi sempre in questi casi uno se la cava da solo o con l'aiuto di altre barche, facendosi tirar fuori o inclinando gli alberi in modo da diminuire il pescaggio. Magari dragassero regolarmente il fiume nel passaggio tra i fanali! In realtà il fiume non è stato quasi mai dragato negli ultimi anni, almeno in quel punto, anche se il fondale si muove continuamente.
- Prima parlavamo di manutenzione. Intanto, un’occhiata al timone, controllando se non ci sia acqua infiltrata tra le lamelle (9). Un’ispezione agli accumulatori e all’impianto elettrico (10). Il controllo del serbatoio dell’acqua dolce. E passiamo allo scafo: per le barche di plastica, problemi pochi, a parte l’osmosi, che crea delle vesciche piene di liquido nello scafo. Con il legno, ben altra storia, e questa barca ha più di vent’anni ed è abbastanza rovinata. Per ora poco male, visto che sta ormeggiata. Ma andrebbe alata e messa in secco per la manutenzione dello scafo e della chiglia. Visto che non si fa, posso soltanto pensare alla sovrastruttura, come il pavimento di legno tek del ponte. Tre le operazioni da eseguire: sverniciatura completa dei residui di vecchia vernice, carteggiatura fino ad arrivare a legno nudo, pitturazione con la nuova vernice. Ma è inverno, per cui meglio lavorare su piccole zone per volta. Per i materiali, al porto ci sono negozi di articoli nautici: vernici, solventi, antivegetativa, pezzi di ricambio.. Il vero problema è che questa barca il mio amico l’ha comprata d’occasione per soli 3000 euro, ma finora l’ha usata poco. Risale al 1970, lunga 7 e larga 2, tutta in mogano. Tre cuccette, randa steccata, timone e albero, carena rifatta nel 2013, cuscini nuovi (lo dice lui), motore applicabile (ma non c’è). Il legno negli interni è bello e caldo, anche se in qualche punto si è rovinato.
- D’inverno una barca va riscaldata, altrimenti è invivibile. In realtà lo spazio da riscaldare è poco, ma è sempre importante evitare la dispersione di calore. Questo dipende dalla coibentazione del fasciame: le barche nordiche sono sicuramente meglio isolate delle nostre, mentre le barche da regata hanno paratie e fasciame molto sottili. La mia non è certo una barca da regata, ma neanche una norvegese.
- Vorrei farmi più spesso una doccia decente. Vorrei alzarmi in piedi senza chinarmi per non sbattere la testa. Vorrei mangiare meglio. Non conosco nessuno e le famiglie che abitano le case basse si fanno i fatti loro. La sera fumo la pipa passeggiando verso il Faro o al porto canale. Di giorno lavoro all’internet point anche se ho un portatile, non fosse altro per uscire. Altri che girano intorno: gente comune, operai immigrati, meccanici di motori marini, skipper disoccupati che d’inverno controllano e curano la manutenzione delle barche degli altri, lavoratori dei negozi e non solo quelli per chi naviga, pensionati.
- Alcune grandi scoperte geografiche sono state fatte con navi – le caravelle – poco più grandi di un buon peschereccio d’altura. E’ vero che non tutti tornavano a casa, ma il fascino dell’Odissea è proprio quello. Nessuno andava per mare se non per necessità, ma chi navigava aveva fegato. Ho sempre sognato, passeggiando a Ostia d’inverno, di costruirmi una barca con tutti i pezzi di legname – tronchi, tavole, residui vari – lasciati dal mare sulla spiaggia. Non so quanto lontano andrebbe una barca simile, ma sicuramente gli antichi stavano sempre a sgottar acqua ogni volta che le onde facevano il mare grosso. Eppure navigavano lo stesso.
- Il viaggio di Magellano è stato narrato da Enrico Pigafetta, che non era un marinaio, ma un gentiluomo italiano che volle seguire l’impresa volontariamente. A quell’epoca i marinai erano analfabeti e a scrivere il diario di bordo ci pensava lo scritturale. Ma i libri di viaggi erano avidamente letti sia da armatori e mercanti, che dalla gente comune. In un’epoca in cui il pubblico era formato da gente che si muoveva poco, i libri di viaggio erano la televisione. Anche nell’internet “si naviga”. I media erano diversi, le emozioni le stesse.
- Per dormire mi sdraio sul divano della parte centrale. Nelle barche chigliate si dorme bene, al contrario dei motoscafi d’altura che galleggiano come tappi. La lampada la spengo tardi. Nei porti turistici ci sono gli allacci a terra per corrente e telefono, ma il mio amico non vuole spendere. Comunque a bordo bastano le lampade alogene alimentate dalle batterie. Ma la sera mi fa piacere accendere il lume, un vecchio Stenton in acciaio inox a kerosene: sviluppa 40 lumen, ma riscalda per 700 calorie. Una lampada come quella fa pure da stufa. Il problema a bordo infatti non è tanto il freddo – almeno da noi – ma l’umidità, favorita anche dalla salsedine, e lampade simili asciugano tutto. Non è solo questione di vivibilità, ma è per il bene stesso della barca. Un buon riscaldamento tiene a freno l’umidità, e in tal modo la barca si mantiene più in salute. Così la sera chiudo bene il boccaporto e mi cucino la cena sul fornelletto di bordo, ad alcool. Le pentole sono impilabili, ma perché non fare lo stesso in casa? Bella domanda. Quanto alla voce cambusa i manuali di navigazione raccomandano una serie di alimenti poco deperibili, ma qui il problema non sussiste. Casomai il vero problema è l’aver pochi soldi per fare la spesa. Ma dopo cena mi metto a leggere; ora è il turno di un libro che vorrei tradurre: Alone at the Ocean, di Hannes Lindemann. E qui apro una parentesi. La lista dei grandi navigatori in piccole barche è lunga, a cominciare da Joshua Slocum e il suo Spray, per continuare con Capitan Voss e il suo Tilukum (11). Ma Hannes Lindemann (1922, ancora vivo) ha superato tutti: ha attraversato nel 1958 l’Atlantico dalle Canarie ai Caraibi (3000 miglia nautiche) con una canoa smontabile Klepper, oggi esposta al Deutsches Museum di Monaco. Le sue memorie, Alone at the Ocean non sono mai state tradotte in italiano ed ora ci sto provando io (12). Era un medico, quindi è riuscito a non morire durante le dieci settimane trascorse in mare aperto su un’imbarcazione buona per il campeggio nautico. Tra l’altro è uno dei fondatori del training autogeno e voleva sperimentare le capacità di resistenza del corpo umano in circostanze estreme e c’è riuscito. Aveva a bordo 70 kg. di provviste ma integrava pescando e raccogliendo acqua piovana. Ha sofferto anche di allucinazioni dovute allo stress, alla mancanza di sonno, alla solitudine. Però ce l’ha fatta e vive tuttora – novantenne – in quel di Amburgo. E quando tornerò a terra in una casa nuova, la mia traduzione sarà pronta.
- NOTE:
- (1) La passera istriana è una barca da pesca piatta e pontata, lunga e robusta, mentre la Ballerina (si allude alle scarpe basse) è uno sloop di sei metri sviluppato dal disegnatore e progettista inglese Robert Tucker negli anni ’50 del secolo scorso. Agile barca da diporto, si vide spesso anche nelle regate. E’ stata costruita in centinaia di esemplari sia da cantieri industriali che da costruttori dilettanti, e può alloggiare fino a tre persone.
- (2) Non fissare la residenza o registrarsi “senza fissa dimora” significa perdere alcuni diritti fondamentali. Per esempio, il diritto (riconosciuto dalla Costituzione a tutti i cittadini) alla salute. Un lavoratore dipendente con una residenza fissa può andare dal proprio medico di base, ma chi andasse a zonzo nel Mediterraneo, può andare in una guardia medica, ma solo dopo le otto della sera o nei fine settimana. Oppure in un pronto soccorso, intasandolo. E pagando anche un ticket, se non si tratta di urgenze. Tutti noi abbiamo una tessera sanitaria con un chip che registra (o dovrebbe registrare) la nostra storia medica. Basterebbe andare da un qualunque medico e lui, inserendo la tessera in un lettore, saprebbe chi ha davanti. Troppo facile!
- (3) Il tavolo da carteggio è una specie di scrivania molto comoda, a ribalta. Nell’alloggiamento si ripongono comodamente le carte nautiche, mentre il ripiano è adatto per scrivere e far carteggio. La radio di bordo in genere sta sopra, in modo che chi sta al tavolo controlla anche quella. Chi parla alla radio in genere cerca informazioni o le comunica alla Capitaneria di Porto o ad altre imbarcazioni, oppure chiacchiera sui canali non di emergenza. E siccome ti sentono tutti, quindi non si parla mai di argomenti riservati.
- (4) Il cabinato da regata Sopranino fu disegnato da John Laurent Giles (1901-1969) per i velisti Patrick Ellam e Colin Mudie, sviluppando il concetto – nuovo per il 1950 - di dislocamento leggero (ULD, Ultra Light Displacement). Con questa barca i due traversarono nel 1951 l’Atlantico, macinando 10.000 miglia e dimostrando che con un buon equipaggio poteva farcela benissimo anche un cabinato di sei metri.
- (5) Fiumara Grande, a sud-est di Fiumicino, è la foce del fiume Tevere e per farsene un’idea basta cercarla su Google Maps o Google Earth. Sulla riva sinistra si trova la darsena privata della Canados International, mentre sulla riva destra c'è la darsena dei Cantieri Netter e quella del Porto Romano. Lungo entrambe le rive sono state costruite molte banchine in legno dai numerosi cantieri e circoli nautici che offrono assistenza e rimessaggio. La navigazione all'interno della fiumara va effettuata con la massima attenzione a causa delle correnti e dei bassi fondali creati dalla risacca.
- (6) Di mio ho portato poco: di vestiti e scarpe e qualche attrezzo. In più un pacco di foto, qualche cd pieno di documenti, il crest del reggimento, un portatile, carta e penna (una stilografica Pelikan, per la precisione), pipa e tabacco, il cellulare, una macchina fotografica digitale e una radio con cuffia. Il resto - mobili, lavatrice, frigo, impianto stereo e televisore – li ho regalati alla parrocchia. Ma non mi sono separato da una cassettina di metallo che contiene la mia storia: documenti di identità, distintivi, foto, taccuini e lettere personali, carte di credito e tessere scadute e una scatoletta di soldatini di piombo piatti. In più, due pen-drive per i documenti digitali o scansiti, un dvd con le foto e i filmetti di famiglia. In altri tempi avrei dovuto portarmi dietro una valigia di roba, ma ormai l’informatica permette di stivare tanto in poco e così sono riuscito a non perdere il mio archivio personale. In attesa di tempi migliori
- (7) Consigli e materiali per la manutenzione della barca / Diego e Fabio Parodi ; Mursia editore, (Biblioteca del mare), 2009. 104 p. , ill. , prezzo euro 13.
- (8) Storia della navigazione : dal 5000 avanti Cristo ai nostri giorni / Hendrik Willem Van Loon. In antiquariato le vecchie edizioni Bompiani (dal 1935 al 1961), ma ora c’è una bella ristampa (2007 2 2009) della casa editrice Magenes di Milano. In commercio invece La saggezza del mare: da Capo dell'Ira alla fine del mondo / Bjorn Larsson, stampato da Iperborea (2003 e ristampa 2008)
- (9) Nella maggior parte dei casi il timone è realizzato mediante assemblaggio di due semi-gusci di vetroresina sigillati con stuoie e resina. Il profilo posteriore della pala è esposto a piccoli urti, abrasioni da parte delle cime sommerse, e sfregamenti di altra natura che possono causare il distacco delle due guance di vetroresina che costituiscono la pala. Nel punto in cui le due guance del timone si separano, si creano delle vie d’acqua tali da causare infiltrazioni all’interno della pala.
- (10) Tutte le attività umane richiedono energia e anche una barca dovrà essere alimentata da diversi dispositivi che ne garantiscono l’efficienza energetica. Quando la barca è ormeggiata, essa si comporta esattamente come una casa, essendo allacciata alla rete energetica cittadina. Bisogna sempre concordare col marina la quantità di Kw messi a disposizione al proprio ormeggio, 1 o 2 Kw spesso neanche bastano ad alimentare il caricabatterie della barca, il boiler, eventuale riscaldamento elettrico e altri dispositivi come un banale fon. Ma bisogna sempre pensare all’autosufficienza energetica. Utili i pannelli solari (2 da 80 W ciascuno), che erogano in estate una ricarica assai soddisfacente (intorno ai 4 A) e in inverno riescono a tenere sempre le batterie caricate, tamponando gli eventuali abbassamenti di carica. Utili ma rumorose le ventole dei generatori eolici. Le batterie – tre o quattro - sono da 100 A e di solito una è dedicata all’accensione del motore.. Come avviene in tutte le barche, nel caso di inefficienza della batteria dedicata al motore, si può selezionare con una chiavetta l’accensione tramite le altre batterie. Chi può permetterselo compri anche un generatore diesel: consuma poco ed eroga 3 Kw a 220 V. E’ sempre bene fare i calcoli dei consumi in maniera precisa, in modo tale da poter ottenere una perfetta economia dei consumi. Per fortuna ora esistono le luci a LED.
- (11) Su Joshua Slocum c’è una ricca letteratura, su Capitan Voss assai meno. Per le loro biografie potete consultare anche Wikipedia. In italiano del libro di Slocum esiste una buona ristampa di Mursia del 2010: Solo intorno al mondo e Viaggio della Libertade, mentre non è più stato ristampato il libro del capitano John Claus Voss: Gli incredibili viaggi. Seguiti da venti consigli sul come governare una piccola imbarcazione in condizioni di mare difficili, non escluso il tifone : considerazioni sui maggiori disastri navali. Milano, Longanesi, 1958.– E mentre lo Spray è finito in fondo al mare con il suo comandante, il Tilikum è conservato in un museo canadese.
- (12) Alone at Sea. A Doctor’s Survival experiments During Two Atlantic Crossings in a Dugout Canoe and a Folding Kayak / Hannes Lindemann : Pollner Verlag, 1958 e ristampa 1998.
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